Milano, Piccolo Teatro, "Le r…

Milano, Piccolo Teatro, "Le r…
Milano, Piccolo Teatro, "Le rane" di Aristofane IL DEGRADO DELLA NOSTRA EPOCA Tra le macerie di una città (e di una società) degradata, ridotta a cumuli di rottami di automobili, inizia il viaggio nel regno dei morti di Dioniso e del suo servo Xantia, con lo scopo di riportare in vita il grande poeta tragico Euripide, prediletto dal dio e da poco morto. Infatti Aristofane immagina che, per reagire all'involgarimento ed al declino di Atene alla sua epoca, un tempo capitale politica e culturale della Grecia antica, culla della civiltà e della democrazia, Dioniso, anch'egli decaduto (pancia enorme, vestito sciatto, la pelle di leone che cade a brandelli, i capelli stopposi ed opachi, l'incedere incerto e clownesco), scenda agli Inferi: qui incontra Eschilo ed Euripide, che gareggiano su chi è stato il più grande tra gli autori tragici e dunque su chi debba tornare sulla terra. In realtà i due si insultano in modo pesante, anche se Dioniso ripete loro che "non sta bene che i bravi poeti si ingiurino come massaie, il poeta deve nascondere il male, insegnare cose oneste e non parlare come si usa tra gli uomini". In questo contesto il pregio della poesia si misura in una gara a chi la dice più cattiva, a chi sputa più veleno, a chi offende di più, attorno a una tavolo che invero ricorda la situazione di uno studio televisivo, con le comparse a sostenere uno o l'altro dei duellanti, un confronto personale che diventa politico e sociale, mediaticamente televisivo. Questo è lo spunto per una vivace discussione intorno ai vizi di una società al tramonto: di fronte alla corruzione dei politici, all'opportunismo dei più e alla volgarità dilagante, non resta che rifugiarsi nel ricordo degli antichi valori, di un perduto senso del vivere civile. Il testo di Aristofane presenta agganci con l'attuale ed efficace è la lettura che Luca Ronconi ne ha fatto.Con le tante polemiche che hanno accompagnato il debutto dello spettacolo al teatro Greco di Siracusa, a causa dei manifesti di uomini politici dell'attuale legislatura nella scenografia, poi censurati, Ronconi sposta la vicenda nel contemporaneo, sullo sfondo del degrado della nostra epoca, calando il regno delle ombre dell'autore in un odierno cimitero di automobili, popolato di delinquenti e prostitute. Il disagio e il degrado della società contemporanea sono i veri protagonisti della messa in scena. Xantia porta sulle spalle due enormi maschere, quelle della commedia e della tragedia, ed è un peso enorme, che lui continuamente ripete essere insostenibile. In effetti, la voce del teatro oggi è quasi sovrastata da quella della televisione e un certo tipo di teatro e di ricerca sembrano a taluni essere più un peso che altro ("la cultura costa ma l'incultura costa molto di più", recita un recente slogan contro il taglio dei finanziamenti statali al Fondo per lo spettacolo). L'universo, come il palcoscenico, si riempie di giovani metropolitani, portatori di un evidente disagio esistenziale, la loro vita si risolve nello stare lunghi sopra carcasse di macchine, in una città grigia e polverosa che neppure la pioggia insistente riesce a ripulire, figuriamoci a purificare. Particolarmente suggestiva la scena iniziale: si alza una serranda grigia metallica a rivelare un palcoscenico completamente vuoto, in cui si muovono Dioniso e Xantia. Poi inizia a piovere, da destra entrano in scena carcasse di automobili e una processione di figure con gli ombrelli: prostitute, punk, barboni, metallari, derelitti, emarginati. Altri sono gli spunti dello spettacolo da segnalare, tra cui la "pesa" dei poeti, l'odore di incenso, la processione delle anime vestite di bianco con grandi ceri in mano. E soprattutto un senso generale di claustrofobia, di mancanza di speranza, di imbarbarimento, che la dipartita finale di Dioniso non riesce ad alleviare. Dioniso è un bravissimo Massimo Popolizio, con lui oltre 50 persone, tra attori e studenti, tutti appropriati nei ruoli, su cui emergono Riccardo Bini (Euripide), Giovanni Crippa (Eschilo), Alvia Reale (la rana). Hanno contribuito in modo determinante alla messa in scena Raffaele Cantarella (traduzione), Margherita Palli (scene), Gianluca Sbicca e Simone Valsecchi (costumi), Gerardo Modica (luci), Paolo Terni (musiche). Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 04 marzo 2005 FRANCESCO RAPACCIONI