Testo tra i più noti e, sicuramente, tra i più messi in cartellone di Jean Genet Le serve arriva da Genova al teatro Manhattan di Roma, nella messinscena di Emanuela Rolla che, assieme a Susanna Gozzetti e a Gabriella Fossati, che appare in voce (registrata) e foto (videoproiettate), interpreta il cerimoniale di Solange e Claire, due giovani sorelle a servizio di Madame, le quali, non riuscendo a emanciparsi socialmente nella vita reale allestiscono una recita durante la quale, a turno, interpretano Madame mentre l'altra sorella cerca di somministrarle una tisana di Tillio avvelenata.
Durante questo cerimoniale le due sorelle si lasciano trasportare nei rispettivi ruoli, entrando in una competizione tra la finta Madame e la finta serva (visto che ogni sorella nel cerimoniale non interpreta mai se stessa ma l'altra) che impedisce loro di completare il cerimoniale senza arrivare mai al momento in cui Madame possa morire bevendo la tisana avvelenata.
La pièce si apre con questa cerimonia e il pubblico ha pochi indizi per capire che non si tratta della vera padrona di casa (la madame interpretata si rivolge alla serva chiamandole ora col nome dell'una ora dell'altra sorella) ma di una recita fin quando la sveglia che segna la fine del tempo a disposizione per il cerimoniale non svela il gioco e le due serve, terrorizzate dall'idea di essere sorprese dalla vera Madame, della quale, si evince, sono vittime di una esigenza da padrona che le ha sottomesse totalmente, tornano in loro stesse, agitatissime.
Genet mostra così il delirio di queste due giovani ragazze di provincia, svilite dalla e asservite alla classe borghese non solo e non tanto per il rapporto lavorativo che le lega a Madame quanto per la colonizzazione del loro immaginario contadino e proletario, che le seduce e le induce a una vana emulazione.
Vana nella loro velleità ma non per questo meno pericolosa nella sua controparte di vendetta, e non tanto per la tisana avvelenata che le due sorelle cercheranno di ammannire alla vera Madame appena questa rientra in casa (al cui sguardo non sfugge il menomo oggetto lasciato fuori poso dalle due serve durante la loro cerimonia) quanto per le lettere di denuncia con le quali hanno fatto finire Monsieur in galera.
Sarà proprio l'improvvisa liberazione di Monsieur a indurre Madame a raggiungerlo, rinunciando al Tillio avvelenato, e facendo piombare Claire e Solange nello sconforto per la consapevolezza che Madame scoprirà tutto.
Genet ha molta cura nel mostrare come il terrore delle due sorelle di essere scoperte non nasca dal timore delle conseguenze (la galera, la perdita del posto) ma da quello di perdere il decoro delle brave serve (quando progettano di scappare Solange si rifiuta di prenderle i gioielli) status che Madame, che ignora il cerimoniale e i complotti che le due sorelle tramano alle sue spalle, riconosce loro.
Tutt'e tre sprovvedute Madame ha dalla sua il potere del denaro che le permette di bere champagne al posto della tisana che, nel finale, Claire, interpretando Madame, berrà coronado, almeno nel cerimoniale, il successo mai raggiunto nella vita reale.
Giocando come il gatto con i topi Genet ci mostra tre donne chiuse ognuna in un proprio delirio dove la differenza viene fatta dalla classe sociale, dalla società che accoglie il delirio di Madame come (legittima) affettazione snob mentre relega quello delle due sorelle nella sfera nel vizio se non morale ideologico.
Commedia squisitamente politica, come ci ha ricordato Ennio Trinelli, Le serve di Genet si ispira a un fatto di cronaca che sferzò l'opinione pubblica degli anni 30, quando le giovani sorelle Papin, a servizio, massacrano padrona e figlia con una ferocia disumana (cavano loro gli occhi, rompono i denti) diventando il simbolo del proletariato che insorge contro la borghesia nonché oggetto di diverse interpretazioni psicanalitiche (con tanto di interessamento di Lacan).
Due sorelle unite da un legame affettivo che sfocia nel coinvolgimento erotico e dove la più grande si impone sulla più giovane, la cui separazione in carcere le destabilizzerà.
E' proprio pensando alle sorelle Papin che Emanuela Rolla porta in scena il testo, da un lato esplicitando il gioco del cerimoniale rendendolo comprensibile al pubblico prima di quanto Genet non avrebbe voluto, ma, soprattutto, sottolineando la natura competitiva e ambivalente del rapporto tra le sorelle con timidi ma concreti riferimenti anche alla sensualità del corpo che diventa geografia di un desiderio che non trova altro modo per essere.
Sedotte dai ruoli di succube e prevaricatrice che indossano e del quale si spogliano vicendevolmente in un continuo alternarsi (magnificamente restituito dalle due interpreti) la Claire di Emanuela Rolla e la Solange di Susanna Gozzetti sono prima di tutto due donne fragili, due sorelle legate a doppio filo da un desiderio di emancipazione sociale frustrato per la non soddisfazione del quale si immoleranno come in cerca di perdono per la loro sconfitta cercando nella coerenza simbolica del suicidio per interposta persona quel decoro e quella dignità che sentono di avere altrimenti irrimediabilmente perso.
In questa ottica il bellissimo monologo finale nel quale Solange si immagina di condurre la processione funebre di sua sorella Chiara, alla quale presenziano domestici e portieri in pompa magna, che in Genet precede la decisione di Claire di bere il Tillio avvelenato, come a segnare uno smarcamento tra delirio e atto concreto, nella messinscena di Rolla segue il gesto suicida di Claire che, durante il monologo (espunto delle sue parti dove il delirio di onnipotenza emerge in tutto il suo portato grottesco) agonizza dinanzi la sorella impegnata nell'afflato immaginifico.
Emanuela Rolla è bravissima nel sostenere con un ritmo velocissimo (a discapito a volte di una dizione perfetta) la concitazione di Claire sia quando è se stessa sia quando interpreta Madame, alla quale Susanna Gozzetti offre uno splendido contraltare fatto di una apparente pacatezza che nasconde una sofferta umanità che scorre appena sotto la superficie.
Intelligente l'impiego della voce registrata e delle fotografie, che la ritraggono in pose espressive, di Gabriella Fossati, attrice del Teatro di Rivista e anche cantante lirica, che dà voce e corpo a una Madame molto più âgée del solito, rendendo così ancora più vana e incomprensibile l'amore emulativo che nasconde l'invidia e l'odio che le due sorelle provano per lei.
Una Madame assente, che compare come proiezione, dando alla messinscena un'aura onirico-proiettiva che incentra ancora di più il suo focus nello status esistenziale delle due sorelle più che nelle implicazioni politiche che avevano mosso Genet nello scrivere la pièce nel 1946.
Si replica stasera. Uno spettacolo da non perdere.
Prosa
LE SERVE
Due donne fragili
Visto il
26-11-2013
al
Manhattan
di Roma
(RM)