La trama della famosa pièce di Jean Jenet può essere raccontata in poche parole. In un certo senso è la storia della lotta di classe moltiplicata per l’isteria femminile e per l’eterno dilemma esistenziale “Sono una tramante pavida creatura, oppure ho il diritto?” sollevato ancora da Dostoevskij. La Madame è uno specchio che riflette i complessi plebei di due cameriere che sognano di romperlo per liberarsi da suo umiliante riflesso.
Si dice che Genet l’abbia scritta per liberarsi dall’avversione che provava verso se stesso e che l’abbia voluta interpretata da attori uomini. Il motivo di questo suo testamento è soltanto uno dei rompicapi che l’autore-recidivo, conosciuto per la sua anima ribelle e trasgressiva, ha lasciato in eredita a tutti coloro che si arrischiano a metterlo in scena. Ma l’esordiente regista Francesco Leschiera della giovane compagnia milanese “Teatro del Singhiozzo” non si è lasciato scoraggiare dalle astrusità e con coraggio si è lanciato a esplorare questa pièce breve, ma intensa.
In definitiva, non tutti i passaggi sono risultati perfettamente chiari anche per tutti coloro che conoscono bene il testo originale. Quindi prima di esprimere il nostro giudizio abbiamo deciso di chiedere alcuni chiarimenti direttamente all’ideatore della messa in scena.
Perché per il tuo primo lavoro teatrale hai scelto proprio “Le serve”, un testo difficile persino per i registi esperti?
«Non lo so. Forse sono stato un po’ incosciente. Quando l’ho letto mi è piaciuto subito».
E che cosa ti è piaciuto?
«Mi è piaciuta l’idea di poter raccontare le dinamiche comportamentali tra gli esseri umani legate al loro status sociale».
Ti sei mai chiesto, perché Jenet voleva che questo testo fosse interpetato da attori maschi?
«Onestamente, no».
E tu allora perché hai fatto il tuo spettacolo tutto al maschile? Per provocare, per caso?
«No, non volevo provocare nessuno. Riflettendoci ora, penso che la decisione di far recitare agli uomini un testo puramente femminile permetta di renderlo in un certo senso universale: la stessa situazione che si crea sul palco può toccare sia le donne che gli uomini e non dipende dal sesso».
Parlando di un testo drammatico, quando si decide di fare interpretare agli uomini i ruoli femminili, la parte più difficile è quella di non farli apparire ridicoli. I tuoi personaggi, al contrario, hanno le sembianze di clown…
«L’ho fatto apposta. La figura del clown si associa bene alla tristezza e al disincanto e anche all’idea del contrasto tra essere e apparire che volevo mettere in rilievo».
La Madame è un personaggio, sotto certi aspetti, affascinante: la leziosità, l'autosufficienza aristocratica e la sensualità che ella mette in mostra colpiscono e incantano nello stesso tempo... Rappresenta un elemento di contrasto che Jenet ha voluto costruire per rendere palese la differenza tra lei e le sue cameriere. Nel tuo spettacolo questo contrappunto è del tutto assente. La tua Signora sembra essere fatta della stessa farina delle serve.
«In realtà, la Signora non c’è. La mia intenzione era proprio quella di accentuare il gioco dei ruoli presente nel testo. Prima Chiara cerca di interpretare la Signora e quando capisce che non ce la fa, passa la palla alla sorella. Per cui quella che vediamo sul palco non è propriamente la Signora, ma Solange. Nelle sue fantasie lei vorrebbe avvicinarsi al mondo della sua padrona, ma le sue origini non glielo permetteranno mai. Non diventerà mai una donna aristocratica. La loro vicenda è un continuo gioco tra la realtà e l’immaginario, in un luogo astratto e asettico, una specie di scatola che ho cercato di ricreare sul palco rivestendolo con un telo bianco. Potrebbe trattarsi anche dei loro ricordi, per esempio, dalla galera , quando tutto ciò che è accaduto ormai è un lontano passato».
Questo, a dir la verità, non ho ben capito come non ho capito chi era il tizio con la fisarmonica?
«E’ il Signore. E’ il personaggio che nel testo viene soltanto nominato, ma mi piaceva l’idea di materializzarlo all’interno dello spettacolo. In ogni caso non è una cosa didascalica. Ognuno può intendere questa presenza come vuole. Ho lasciato solo dei riferimenti. Per esempio, ogni volta quando si parla di lui si sentono degli accordi acuti della fisarmonica oppure viene illuminato l’apparecchio telefonico”.
Secondo Jenet le sorelle sono complici che si amano a vicenda. Per salvare la sorella, Chiara nel finale si sacrifica. Nella tua versione invece sembra che le due si odino e basta, al punto da voler alla fine soffocarsi l’un l’altra.
«Il loro rapporto è un groviglio di amore, odio e competizione messi insieme. E’ un gioco di ruoli in cui la realtà e l’immaginario tendono a fondersi. Sicuramente loro si amano, ma loro fanno fatica a mostrarlo perché non sono abituate».
Perché per la locandina dello spettacolo hai scelto un quadro di Bacon?
«Perché per me rappresenta l’idea della stessa distorsione interiore di cui soffrono i protagonisti. Mi ha anche aiutato a lavorare sulla fisicità degli attori per mettere in evidenza l’anima malata, contorta dei personaggi, per fare uscire fuori il loro profondo malessere».
Si potrebbe dire che hai messo in scena Jenet senza essere riuscito a risolvere del tutto il suo enigma?
«Penso di essere arrivato a un punto della comprensione. Tuttavia sicuramente è un testo che svela qualcosa di inaspettato ogni volta che lo leggi».
Prosa
LE SERVE
Le serve a singhiozzo
Visto il
24-10-2012
al
Spazio Tertulliano
di Milano
(MI)