Segregate nello spazio esatto delle loro esistenze claustrofobiche, che l’angosciante camera da letto sulla scena semplicemente riproduce alla vista, le serve di Genet sono personaggi costruiti, nelle intenzioni dell’autore, per insinuare inquietudine e turbamento nello spettatore; non soltanto per l’imprevedibile atrocità del piano delittuoso che esse covano e simulano per tutto l’arco della rappresentazione, pur senza mai condurre ad autentico compimento; ma soprattutto per il morboso senso di morte che la loro parola quieta riesce ad innescare meglio di ogni esplicita volizione criminale.
Il disegno di regia accentua questo elemento del testo sfruttando la presenza in scena di due attrici di lunga esperienza. Anzitutto Franca Valeri − interprete di Solange − la cui carriera artistica supera il mezzo secolo di attività ed è riconosciuta dal pubblico come simbolo sacro della scena, la cui parola recitata risuona perciò ieratica e densa (probabilmente anche senza l’amplificazione); e poi Annamaria Guarneri, suo polimorfo doppio nei panni della più giovane Claire, che provvede a contrappuntare con maggiore enfasi gestuale e più ampia − a volte sovrabbondante − modulazione dei registri il verbo livido e gravoso della sorella maggiore.
Il tormentoso gioco delle corrispondenze, che spinge le due serve a desiderare di “esistere” attraverso l’identificazione con la padrona e il temporaneo possesso delle sue cose, è anche fonte della pulsione di annientamento di Madame, riveritissima e insopportabile icona che il regista, in uno slancio metaforico, fa entrare in scena su un baldacchino per renderla simile, anche nelle smisurate dimensioni, a una Madonna trecentesca. Ma il piano di morte è segnato da continue interruzioni psichiche, che prendono forme allucinate negli oggetti della casa − una chiave fuori posto, un telefono che suona, sagome che calano sulla scena come le figure di un incubo di Dalì − per diventare gli strumenti metafisici che presidiano la salvezza di Madame e trasmettono la pulsione fatale sulle sorelle stesse.
Nel complesso la rappresentazione funziona in buona parte, anche se forse l’eccesso di soluzioni simboliche e l’attenuazione di alcune coloriture “torbide” del testo rendono la messa in scena troppo asciutta e stilizzata; valeva forse la pena di osare più a fondo per trascinare lo spettatore contemporaneo nell’oscurità esistenziale e morale, alle radici della scrittura di questo superbo lavoro di Genet.
Teatro Bellini - Napoli, 4 marzo 2008
Visto il
al
Dei Differenti
di Barga
(LU)