LE SERVE

Una messinscena incompiuta

Una messinscena incompiuta

Le serve (1947) di Genet (cattiva traduzione del francese Les bonnes, le domestiche) trae  spunto dall'efferato omicidio della moglie e delle figlie dell'avvocato in pensione René Lancelin per mano delle giovani sorelle Papin, Christine e Léa, presso il quale erano a servizio da circa sette anni, la sera del 2 febbraio 1933.
Il testo è incentrato sull'amore odio-delle due giovani domestiche Solange e Claire per la loro Signora (Madame). Le due sorelle vengono descritte come due giovani sedotte dall'agio della vita lussuosa di Madame in bilico tra un amore per lei che sfiora quello se(n)suale e un odio che le fa fantasticare di strangolarla (ma i seni di Madame, nel sonno, palpitavano e Solange non ne ha avuto il coraggio). Odio e amore sono ben distribuiti in un gioco che le due sorelle fanno quando sono sole in casa, nel quale, a turno, una delle due impersona Madame e l'altra impersona non già se stessa ma l'altra sorella.
Un rituale alla fine del quale la Domestica dovrebbe uccidere la Padrona ma le due sorelle indulgono troppo nei rispettivi ruoli e non riescono mai a completarlo prima dell'arrivo di Madame.   Madame è descritta come una borghese capricciosa e affettata sino al ridicolo, tutta piena di sdilinquimenti per il suo uomo incarcerato a causa di una lettera anonima (in realtà spedita da Claire) ma anche concreta e attenta ai dettagli.  Monsieur è stato rilasciato e le due sorelle, temendo di essere scoperte, cercano di avvelenare Madame servendole la sua tisana al tiglio con dei barbiturici. Madame non beve e sarà Claire a bere al posto suo.
Genet intreccia bene in questa sua pièce la storia di omicidiosuicidio con quella ad essa collegata dell'amoreodio per madame individuando alcuni nodi della vita borghese e di chi, malgrado tutto, a quella vita agogna, con un elegante gioco di rispecchiamenti tra le due sorelle e la loro padrona. Un discorso politico e sociale pieno di allusioni a una vita altra che non si può avere e a un'ambizione frustrata che porta alla follia.
Genet non giustifica, non spiega, ma allude al contesto entro il quale i suoi personaggi si stagliano come individui dalle precise caratteristiche psicologiche. Un contesto squisitamente teatrale visto il rituale che le due sorelle eseguono e che, all'inizio, inganna lo spettatore che crede una delle due sorelle sia Madame.
L'approccio di Greta Agresti, che oltre a interpretare Chiara firma anche la regia,  al testo è interessante e originale. Sin dall'interpretazione delle due sorelle, normalmente cerebrali e meste qui invece nervose, sanguigne, quasi isteriche, mentre il ridicolo che sfiora Madame è qui evidenziato dal trucco da bambolina (biacca e gote rosa) con cui Agresti ce la presenta.
La regia cerca mezzi espressivi anche nelle luci e nel sonoro (la pièce si apre col rumore di un fuoco che arde, mentre le luci inondano la scena di rosso) come alcune note a sottolineare alcune frasi ripetute dalle due sorelle. Elementi interessanti che sveltiscono il testo ma, anche, lo semplificano.
E questo è un po' il limite della messinscena.
Agresti sembra più interessata alla storia di per sé, quella di due serve invidiose e maniache omicide e suicide, che alle implicazioni, alle allusioni, al timido sottotesto di Genet, che, pure, è presente, e dal quale parte la vera linfa della pièce.
Alcuni tagli apportati al testo, probabilmente per snellire la narrazione (il vagare di Solange mentre cerca un taxi per Madame, il lungo monologo finale nel quale Solange immagina prima di parlare con l'agente di polizia, e poi un sontuoso funerale per sua sorella Chiara, alcune allusioni di Chiara alla loro vita oltre l'orario di lavoro, i continuo avvicendarsi alla finestra dalla quale vedono scorrere la vita) oltre a semplificare la pièce finiscono con appiattirla un po'.
Un appiattimento cui contribuisce anche la recitazione che riduce un po' i personaggi alla loro esteriorità. Se Flavia Germana De Lipsis ha la capacità di restituire l'affettatezza del proprio personaggio, al punto tale che il trucco da bambolina risulta pleonastico e Greta Agresti sa dosare i momenti di rabbia gridata a quelli di calma apparente, il personaggio di Solange, espunto delle parti che meglio ne caratterizzano psicologia e storia risulta quello più debole e meno centrato, col rischi di far pesare questa mancanza sulla sua interprete Annalisa Lori, che invece è precisissima nelle intenzioni, invece che alla regista che ne è invece l'unica responsabile.
Per cui, alla fine, pur ammirando il lavoro di regia e il diverso approccio recitativo ai personaggi, questa messinscena de Le serve ha in sé qualcosa di incompiuto, di mancante, facendo pensare che forse la regia di un tale testo spetti a una persona con più esperienza di vita di quella della giovanissima Agresti per essere colto nella sua interezza, meglio, nella sua più intima natura, che qui, dispiace dirlo, è piuttosto assente.

 

Visto il 04-02-2011
al Cometa Off di Roma (RM)