Non sappiamo se Manuela Dessy…

Non sappiamo se Manuela Dessy…
Non sappiamo se Manuela Dessy sia stata attratta nello scrivere questo dramma più dalla famosa pièce di Jean Genet Le serve (cattiva traduzione del francese Les bonnes, le domestiche) ovvero dal fatto di cronaca che ispirò Genet stesso: l'efferato omicidio della moglie e delle figlie dell'avvocato in pensione René Lancelin per mano delle giovani sorelle Papin, Christine e Léa, presso il quale erano a servizio da circa sette anni, la sera del 2 febbraio 1933. Poco importa d'altronde, perchè Dessy riesce nel compito non facile di confrontarsi col testo teatrale e col fatto di cronaca, riuscendo a mantenere un'equilibrata distanza da entrambi, non cadendo nella tentazione (facile) di scrivere un omaggio alla cultura francese, delle sorelle Papin si sono infatti occupati oltre al già citato Genet, André Breton, Jacques Lacan, Jean-Paul Sartre, (ne Il muro) e Simone de Beauvoir (La forza dell' età) mentre al cinema hanno ispirato Sister My Sister (94) di Nancy Meckler, Il buio nella mente (96) di Claude Chabrol e Les Blessures assassines (2000) di Jean-Pierre Denis o, viceversa, di piegare il teatro alla mera ricostruzione di cronaca. Le sorelle Papin ha la statura dell'opera autonoma, nella quale si staglia la personalità delle sue due protagoniste. Il testo, contrappuntato da brani musicali di Erik Satie, mostra la vita monotono-ossessiva delle due sorelle, senza facili sociologismi: i gesti sempre uguali (lo spolverare, lo stirare, il piegare lenzuola bianche sulle quali compaiono fisicamente i segni sempre più tangibili di un male interiore), il timore per le sgridate severe dei padroni (che non vediamo mai in scena) si contrappongono alla sfrontatezza di una riscossa personale che non sa mai trovare modo se non nel loro fantasticare privato, fino all'estremo gesto finale. Tutto viene mostrato, raccontato come dato assoluto, quasi metafisico, nella totale assenza di un qualsiasi riferimento storico preciso. Léa e Christine sono due anti-eroi: l'efferatezza della strage che compiono non è sostenuta da spiegazioni psicologiche o esistenziali, viene semplicemente registrata, raccontata, perchè essa, semplicemente, è. Questa è una delle più forti intuizioni di un testo spoglio, che accenna a un fuori scena altrettanto importante di quel che mostra, facendo montare nello spettatore un'inquietudine che serpeggia fino a togliere il fiato al punto tale, oseremmo dire, che l'omicidio finale, non mostrato ma raccontato anch'esso fuori scena, è quasi liberatorio. Belle sorprese le dà anche una regia allegra che, grazie alla particolare disposizione del teatro che vede le due attrici recitare praticamente in mezzo la pubblico, coinvolge gli astanti nella routine quotidiana delle due sorelle: il piumino spolvera tendaggi e mancorrenti del teatro, ma anche qualche spettatore che si trova loro dinanzi mentre lo straccio col quale le due sorelle lavano, carponi, il pavimento, lambisce le sedie e i piedi degli spettatori. Poi, un attimo prima della strage, Léa e Christine affidano prima al pubblico, frettolosamente, una caraffa, un coltello e un martello, gli oggetti coi quali uccidono moglie e figlie, poi Christine versato addosso a sè e sua sorella il contenuto del secchio usato per le monotone pulizie, stavolta pieno di sangue, per raccontare poi, così lordate, quasi sbarazzine, al pubblico i dettagli dell'omicidio, occhi cavati dalle orbite, denti spezzati e mutilazioni corporee: gambe, braccia e pube. Molto convincenti Rosella Petrucci ed Emanuela Vittori che interpretano due personaggi diversissimi eppure complementari, due sorelle messe a servizio in tenera età che hanno saputo sopravvivere al riparo della propria intimità, in un mondo che non si è nemmeno accorto di loro, se non quando era troppo tardi, per tutti. Dispiace solamente, anche se corrisponde al fatto di cronaca, l'insistenza discreta, all'omosessualità delle due sorelle che, presente anche nel testo di Genet, perde qui ogni valenza simbolica (lo scardinamento della famiglia, dei classici ruoli eterosessisti, dei rapporti tra adulti e giovani del testo genettiano) e si riduce a puro dettaglio concreto, quasi a voler annoverare l'omoerotismo tra la casistica di fissazioni compulsive delle due sorelle, all'epoca fattore evidenziato a dismisura, ma che forse oggi, in un periodo di tanto vituperio nei confronti dell'amore che non osa dire il suo nome, avrebbe necessitato di una maggiore discrezione per non lasciare adito a fraintendimenti del pubblico che il testo invero non ingenera ma non si perita nemmeno di negare. Roma, AccentoTeatro dal 19 al 22 Marzo