Fabriano (AN), Teatro Gentile, “Le storie del signor Keuner” di Bertolt Brecht
LE STORIE DEL SIGNOR KEUNER
All'apertura del sipario appare un grande cortile, ampie finestre occhieggiano da un muro scrostato, in mezzo alla scena una passerella metallica, con oggetti appesi, forse un cantiere, per ristrutturare un mondo in disfacimento. Da qui parte Moni Ovadia per raccontare il signor Keuner, alias Bertolt Brecht. Sotto il palcoscenico un costume antico, sormontato da un copricapo ed una lunga barba, con due mani finte attaccate. In scena, un banco di scuola con un manichino, una finestra con i fiori ed il pianoforte, un altro bancone per lo xilofono, sono come tre carriole da portare avanti ed indietro. Come nel teatro elisabettiano appaiono i componenti della Moni Ovadia Stage Orchestra vestiti da donne, in alto una ballerina, caricaturale ritratto di Lili Marlen, si dimena sopra la passerella. Moni Ovadia conduce un percorso fatto di struggente ironia, attraverso la vita di Brecht, le parole di Keuner, la storia della Germania nazista, i fatti più violenti dell'Italia contemporanea, dalla strage di Capaci, al processo Andreotti, a Riina.
Col ritmo intenso di un musical, intercalato a canzoni in diverse lingue, il signor Keuner appare in versione multimediale su di una finestra in alto, uno schermo, impersonato da narratori illustri (Alessandro Bergonzoni, Massimo Cacciari, Gherardo Colombo, Philippe Daverio, Daniele Del Giudice, Oliviero Diliberto, Dario Fo, Arnoldo Foà, Don Gallo, Claudio Magris, Michele Michelino, Milva, Eva Robin's, Sergio Romano, Carlo Rivetti, Sabina Rivetti, Roberto Scarpinato, Gino Strada). La voce solida e piena di Moni Ovadia riempie la rappresentazione, traghettando gli spettatori attraverso uno spettacolo poliedrico e ricco di spunti di riflessione. Mentre le parole scorrono, immagini sottolineano la narrazione, con punte provocatorie, come il Cristo Morto del Mantegna, accostato al Che defunto. Il racconto dell'esistenza individuale si fonde con il racconto di un mondo contemporaneo, filtrato dal “buon senso” brechtiano, dalla forza di restare fedele a se stesso nel fluire degli eventi, nello sradicamento dalla propria vita causato dall'esilio.
Ad un certo punto Moni Ovadia e gli altri scendono tra il pubblico, l'autore che osserva bonariamente se stesso, metateatro che si fa metafora del mondo: “il teatro è il mondo, null'altro che questo”. Il rapporto tra il singolo e la società, tra lo scrittore ed il teatro si mescolano, nelle parole brechtiane, poi con cambiamenti repentini si torna al presente, all'attualità e c'è spazio anche per un appello appassionato pro cultura, “perchè la civiltà occidentale è un cumulo di spazzatura”. Mutano i personaggi, ma i ruoli in fondo restano i medesimi, in un'andreottiana metafora “il potere logora chi non ce l'ha”. Il ghigno sferzante di Dario Fo, conclude il viaggio, con una sola risposta: “Non è importante ciò di cui siamo convinti, è importante ciò che le convinzioni fanno di noi”, una tautologica certezza che il signor Keuner lascia in eredità agli spettatori. Si esce dal teatro dopo avere esercitato la mente, continuando a pensare, a riflettere. A capire, soprattutto.
Visto a Fabriano (AN), teatro Gentile, il 3 febbraio 2008
MONIA ORAZI
Visto il
al
Piccinni
di Bari
(BA)