LA TARANTELLA IN TRE ATTI (Eduardo De Filippo)
Luca De Filippo porta in scena alla Corte suo padre, e lo fa con una commedia che il grande Eduardo scrisse nell’immediato dopoguerra, ma che appare essere sempre attuale e sempre di monito per gli spettatori che, come è caratteristica peculiare dei lavori di De Filippo, sono spinti ad un passaggio lento dal puro divertimento alla profonda riflessione.
Una commedia che appartiene al secondo De Filippo, quello che ormai ha compiuto il passaggio dalla speranza nel recupero dei valori dopo il pesante dramma del conflitto a quello che, ormai, vive nella disillusione e nel pessimismo.Una commedia, ormai, non recentissima, che fu scritta nel 1948, ma che appare sempre di una attualità impressionante: i protagonisti portano in se la cicatrice lasciata dal passaggio di una terribile guerra con le sue sofferenze, le sue morti, la sua distruzione, proprio come ciascuno di noi porta in se il fantasma dell’orrore, della morte e della distruzione del recente 11 settembre 2001, delle guerre dei giorni nostri, e più in generale delle immagini che vediamo, purtroppo, con cadenza quasi quotidiana in televisione e su internet. Una commedia, quindi, che porta in scena i napoletani della fine degli anni ’40, ma in un certo qual modo trascina sul palco anche noi e pone l’umanità convenuta nella grande piazza coperta che è il teatro di fronte, in qualche misura, ad una sorta di specchio.
Il titolo appare poter essere letto in vari modi: le voci interiori dei sogni raccontate all’inizio, la voce misteriosa del personaggio muto di fronte all’umanità sorda, o la voce finale: quella di rapporti familiari che non conoscono una vera e propria fiducia. Voce, quest’ultima, che è eloquente nel suo silenzio per tutto il secondo atto, e poi prende il suono della voce del protagonista per ammonire in maniera chiara ed esplicita personaggi (direttamente) e pubblico (indirettamente). Ma tutte queste voci hanno un comune denominatore: quello di essere diverse dalle voci di fuori: i sogni dalla realtà, l’essenza autentica dei rapporti dalla maschera che ognuno mette nel rapporto con gli altri, ed in mezzo il comportamento non conforme al modo di agire comune di tutti di una persona ormai stanca dell’umanità da cui è circondata divenuta sorda.
Il miscuglio tra visione onirica e realtà crea un mistero che cattura l’attenzione dello spettatore e lo accompagna lungo tutto lo spettacolo, agevolandolo così poi nel finale per quanto attiene l’aspetto di interiorizzazione degli spunti e del messaggio dello spettacolo.
Sapiente la regia di Francesco Rosi, magistrale la gestione dei suoni e delle luci in una scenografia ottimamente curata che pone in risalto la grande bravura degli artisti. Sicuramente meritata la nomination ai Premi Olimpici 2007 come migliore spettacolo, migliore attore protagonista e miglior scenografia.
GENOVA (GE), TEATRO DELLA CORTE, Martedì 23 Ottobre 2007
Visto il
al
Cilea
di Reggio Calabria
(RC)