Macerata, teatro Lauro Rossi, “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo
LA VITA CAMBIA GLI UOMINI E LE COSE
Scritta nel 1948, “Le voci di dentro” si inserisce nel filone del “fantastico” di Eduardo, in cui viene tratteggiato l'ambiguo rapporto fra sogno e realtà. L'Italia è appena uscita dalla guerra (un barlume sono le istituzioni democratiche) ed è un paese scosso nel sistema dei valori con poca fiducia nella possibilità di una autentica rinascita, come se gli orrori della guerra, seppure finita, avessero lasciato una traccia profondissima, segnando indelebilmente le coscienze delle persone. Una forte crisi di valori che l'uomo avverte ma che rimane latente nella razionalità per poi emergere a livello di inconscio con i sogni. Il piano onirico si affianca a quello reale, entrambi ricchi di simboli e significati a volte ardui da identificare e da decifrare. I sogni inquieti o oscuri che Rosa e Maria all'inizio raccontano sono il segno degli echi tragici della guerra e delle rovine (più morali che materiali) che essa ha comportato. Le due donne sono disorientate e sulla platea si accampa quel senso di mistero che è la cifra del testo.
La storia ha per protagonista Alberto Saporito, un pover'uomo in difficoltà economiche e con problemi familiari (l'anziano zi' Nicola che ha deciso di smettere di parlare perchè “l'umanità è sorda... oggi l'uomo è libero solo di morire”), convinto di essere il testimone di un delitto perpetrato brutalmente dai vicini di casa. Li denuncia e li fa arrestare ma, nel cercare le prove, non le trova dove dovrebbero essere e così si fa persuaso che ha sognato tutto in modo incredibilmente realistico. Alberto ammette l'errore e fa rilasciare la famiglia Cimmaruta; poi si chiude in casa temendo, istigato dall'interessato fratello Carlo, vendette e ritorsioni, quanto meno violente rimostranze. Invece i vicini vanno a trovarlo per accusarsi uno con l'altro di un delitto mai avvenuto ma da loro dato per certo perchè si sospettano vicendevolmente (“al giorno d'oggi non ci si può più fidare di nessuno”). Alla fine ricompare la presunta vittima che invece sta benissimo, si era assentato per un equivoco. Ma Alberto accusa tutti, per la seconda volta, di essere “assassini”, assassini del rispetto e della fiducia reciproca, assassini perchè la stima è stata uccisa e senza stima si può arrivare al delitto (i Cimmaruta avevano progettato di eliminare Alberto): la vita, come la guerra, cambia gli uomini e le cose.
La famiglia viene descritta come luogo di gelosia e rancori, emblema di una società che non ascolta le “voci di dentro”, le voci del bene e della morale dei valori, che stanno scomparendo per far posto alla distruzione dei sentimenti e del rispetto; diventano le voci di incubi oscuri e spaventevoli. All'apparenza commedia degli equivoci, “Le voci di dentro” è un'acuta riflessione sull'uomo e la sua meschinità, che turba lo spettatore. La regia di Francesco Rosi non tralascia la napoletanità e le polemiche sociali e moralistiche dell'autore (sempre attuali), ma insiste sulle pieghe “fantastiche” di una pièce che fa sorridere crudelmente, priva di speranza (“oggi la gente onesta muore di fame”), le sottolinea per amplificarne l'effetto. Complice una perfetta scenografia (di Enrico Job, come i costumi) che ambienta l'azione in una cucina naturalistica nei dettagli per il primo atto (ma con una finestra enorme spalancata sul nero totale) e in un surreale deposito di mobili per il prosieguo, un accatastamento di sedie che ricorda certe tele di Savinio e che altro non è se non l'animo aggrovigliato e non risolto di Alberto. Il telo di fondo è in bianco e nero, privo di calore umano, di sentimento, di speranza. Le luci sono di Stefano Stracchini ed esaltano alcuni passaggi del testo, come nei momenti di descrizione degli incubi, quando la tappezzeria di casa Cimmaruta assume strani effetti cromatici che virano al verde e al rosso. La lettura registica risulta così, considerate tutte le componenti, simbolica ed efficace.
Luca De Filippo è uno stralunato Alberto, degno erede della grandezza paterna. Con lui molto bravi Antonella Morea (Rosa Cimmaruta), Gigi Savoia (pasquale Cimmaruta) e Marco Manchisi (Carlo Saporito). Carolina Rosi è una Matilde Cimmaruta provocante e determinata ma meno spontanea dei precedenti. Meno convincenti i giovani Matteo Mauriello (Luigi) e Chiara De Crescenzo (Elvira). Completano un cast adeguato Matteo Salsano (il portiere Michele), Anna Moriello (la cameriera Maria), Giovanni Allocca (il brigadiere), Adriano Mottola (Capa d'angelo), Stefania Guida (Teresa Amitrano) e Giuseppe Rispoli (zi' Nicola e Aniello Amitrano, la presunta vittima).
Teatro gremito, molti giovani, pubblico plaudente e divertito, soprattutto nei momenti maggiormente riconoscibili di comicità diretta.
Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 17 gennaio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Cilea
di Reggio Calabria
(RC)