Lei e Tancredi si interroga sullo status dell'eroe. L'eroe solo, più che solitario, la cui solitudine è ben espressa dall'amore impossibile, quello degli amanti separati dalla cultura e dalla religione, come racconta Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata. Un'eroicità vissuta nel continuo superamento della fragilità dell'essere umano, messo alla prova da una Storia che stanca e sfianca.
Loredana Parrella allestisce una macchina coreografica d'inedita forza e impatto emotivo che si concentra sull'azione del corpo umano come potenziale di continuità, a patto che non si arresti davanti alla singola conquista, ma che sia punto di partenza per gettarsi in una lotta sana e costruttiva capace di produrre Forze attive per citare il programma di sala.
L'azione su cui Parrella imposta la sua ricerca coreutica non si esplica solo nel movimento ma anche nella performance e nella parola, interrogandosi sul Presente per non sganciare la danza dal suo essere testimonianza dell'oggi ricercando la forza dei significati, in un periodo storico così potentemente segnato dalla massificazione del pensiero e dei corpi.
E quale corpo migliore di quello del danzatore (della danzatrice) per innervare questa forza primigenia che conturba uomo e donna in un intreccio inestricabile di desiderio e pulsione di morte, sacrificio e speranza, amore e violenza, uniche coordinate di un presente vago e incerto?
Sul palco sette (otto) performer si mettono in scena non solo partendo dal corpo fisico, ma anche da quello biografico declinando, appena in scena, le proprie generalità, stabilendo le proprie origini, i propri nomi e quelli dei genitori, in una genealogia personale che fa di ogni performer una persona.
Persone che nella prestazione fisica (di una indicibile alchimia tra danza e teatro) trovano la cifra estetica di una fragilità che si esprime attraverso la morte per mano umana (dunque non naturale) partendo da quella letteraria di Tancredi e Clorinda per innestarsi direttamente in una contemporaneità che la coreografia percorre e visita con lo stesso dirompente afflato fisico.
A turno e ripetutamente danzatori e danzatrici declinano i nomi e i luoghi in cui si sono consumati alcune morti significative: da Ilaria Alpi a Giorgiana Masi, da Borsellino a Stefano Cucchi dove la fisicità dei performer si fa testimonianza di quelle vite cruentemente interrotte.
Danza recitata, recita danzata Lei e Tancredi si consuma tra ritmi tribali, eseguiti menando mano sul proprio corpo o sulle sedie - che, assieme ad alcuni tavoli, costituiscono pressoché l'unico elemento di una scena altrimenti vuota-, spensierati giochi (nei quali dei pennarelli lasciano la loro traccia prima su immensi fogli bianchi e poi direttamente sul corpo della performer) e coreografie nelle quali i performer si muovono all'unisono eseguendo passi simmetrici oppure si atomizzano in passi a due e solitari in combinazioni multiple.
Coreografie intimamente contaminate dalla parola, proferita, anche tramite l'ausilio di due microfoni, posti ai lati di proscenio, dai sette (otto) danzatori e danzatrici che alternano la litania dei nomi dei nostri eroi quotidiani (c'è anche quello di Anna Politkovskaja) ai versi del Tasso che raccontano dell'amore impossibile di Tancredi per Clorinda.
Un teatro e una danza crudeli nel senso che dava all'aggettivo Artaud: non come sadismo, o causa di dolore, crudeltà come rinuncia a qualsiasi elemento non necessario alla rappresentazione. Lei e Tancredi incarna proprio lo sgominamento della tirannia del testo sullo spettacolo, e il raggiungimento di un teatro integrale, che fonde gesto e movimento, suono e parola anche tramite la tecnologia.
Con l'ausilio di una videocamera, che ne abbacina il volto, vediamo l'immagine amplificata sullo schermo (che occupa per intero la parete di fondo del palco) di facce e corpi pervasi da una pulsione sucida alla quale si sottraggono più per disperazione autoindotta che per spirito di sopravvivenza oppure per l'intervento, ora deciso ora indolente, degli altri.
Un intervento mosso più da spirito di prevaricazione che da un sentimento di pietà, a impedire il gesto suicida quasi per caso.
E tra movimenti coreutici, interazioni performative e la parola declamata si individuano alcune costanti: quella della ripetizione come continua rinascita dopo una vittoria, dopo una morte, dopo una sopraffazione, che si esplica non solo nel portare a termine un passo coreografico, al quale ne segue subito uno nuovo e diverso, che cerca nuovi orizzonti espressivi, ma anche nello splendido contrappunto di una parola, detta, declamata e interrotta.
In Lei e Tancredi infatti la donna è sempre interrotta dall'uomo, censurata, zittita, placcata e placata sia che esegua alcuni passi di danza o ripeta alcuni brani del Tasso non importa quante volte un danzatore intervenga per zittirla, censurarla, soffocarla, allontanarla, umiliarla, senza soluzione di continuità.
Parrella imbastisce così un discorso segreto e sotterraneo. Da un lato constata l'orrore dell'ineluttabile vocazione alla violenza (e dunque alla morte) dell'uomo e della donna, degli adulti come dei bambini (in uno dei quadri più toccanti quando, sulle note di Les enfants s'ennuient le dimanche danzatori e danzatrici eseguono un gioco infantile fatto di sberleffi e umiliazioni sottili). Dall'altro afferma al contempo la necessità della ripetizione ostinata, dell'insistenza non importa quanto priva di speranza, attraverso l'azione coreutica dei performer, come unica arma contro il desiderio di rinuncia (alla vita, all'impegno) cui vorremmo tanto romanticamente arrenderci.
Un'emozione, un impegno e una determinatezza che, partendo direttamente dai danzatori e dalle danzatrici sul palco, investe direttamente, con tutto il suo portato emotivo e politico, l'uomo e la donna in sala, messi di fronte all'eterno incorruttibile spirito di vita che è lo stesso che fa muovere i performer sulla scena.
Lei e Tancredi mostra in un istante la condizione presente dell'uomo e della donna con sorprendente lucidità, senza sconto alcuno e senza alcun compiacimento nella consapevolezza che sia inutile fermarsi a condannare ma che invece sia necessario tendere verso una continuità di pensiero e azione.
Una descrizione lucida e crudele dell'oggi nella quale la speranza ripone proprio sul fare dell'uomo e della donna a partire da quelli che, sul palco, danzano e recitano, descrivendo e raccontando la disperata ineluttabile lotta dell'umanità contro le sue stesse pulsioni di morte.
Una macchina teatrale e coreutica i cui effetti, una volta venuta in contatto con lo spettatore, si fanno sentire anche a giorni di distanza dalla visione, parlando direttamente all'inconscio dello spettatore che capisce, o se non altro si augura, che, in fondo, siamo tutti, un po', Clorinda e Tancredi.
Danza
LEI E TANCREDI - DENUNCE DI CORPI PARLANTI
Uno spettacolo che parla all'inconscio
Visto il
16-12-2011
al
Vascello
di Roma
(RM)