Un inizio di stagione difficile a Genova, di nuovo messa in ginocchio dall’alluvione a combattere contro lo stato di allerta, ma, oltre alla tragedia e alle inevitabili polemiche, due note di speranza: la presenza dei giovani, davvero tantissimi, impegnati a ripulire la “loro” città dal fango e un teatro che cerca di riconquistare pubblico e leadership e che, nonostante l’emergenza, va regolarmente in scena.
Per inaugurare col sorriso la stagione d’opera e balletto è stato proposto L'elisir d’amore nello storico allestimento del Carlo Felice firmato da Filippo Crivelli con scenografie di Lele Luzzati, che, a distanza di tempo, mantiene inalterata l’originale freschezza. Più favola che farsa, ma sempre screziata di ironia leggera, come si addice a Donizetti e pure a Luzzati.
L’opera bucolica si apre su di un fondale dai toni pastello dove pennellate gialle e arancioni evocano i colori della campagna lombarda durante la stagione della mietitura; lo sfondo luminoso e solare immerge da subito in un’atmosfera rasserenante e fa dimenticare la luce livida da catastrofe incombente che continua ad aleggiare fuori nel centro di Genova. Sulle note dell’ouverture la scena si compone a vista: sagome di alberi frondosi scorrono come quinte sul palcoscenico per ricreare un bosco ai margini di un campo di grano e abbozzi di travature ai lati della scena evocano le architetture di una cascina lombarda. L’impianto scenico marcatamente bidimensionale con legni dipinti e quinte semoventi ribadisce una vocazione teatrale artigiana che parla alla nostra memoria e le immagini evocative create da Luzzati evocano la sfera del gioco, della favola, del ricordo. Le scene risvegliano un immaginario infantile, come la sedia a dondolo che oscilla solitaria nell’aia o la bottega di Dulcamara, un armadio-tabernacolo che si apre e diventa un libro illustrato che svela, in una progressione di meraviglia che ben si addice all’istrionica cavatina, tavole variopinte raffiguranti scene colorate, carte da gioco, bottiglie e pozioni che invadono progressivamente la scena. Per le pagine più elegiache e introspettive un arazzo di gusto settecentesco con toni sfumati e motivi bucolici fa da sipario per isolare i protagonisti sul proscenio e farne scaturire i sentimenti più autentici e così, lontano dal mondo variopinto della farsa, le parole di Adina “Chiedi all’aura lusinghiera” o la “Furtiva lacrima” risultano più autentiche.
I costumi di Santuzza Calì sono parte integrante della scenografia ed esprimono la stessa cura “artigianale” che accomuna il lavoro di costumista e scenografo. Si avverte una mirabile continuità fra le pennellate delle scene e i toni pastello delle stoffe, in un gioco di nuances che ci rammentano come l’Elisir sia tutto giocato sulle sfumature.
Come già avvenuto in passato la produzione si avvale di giovani e promettenti cantanti e di un buffo di eccezione, Alfonso Antoniozzi, che per carisma e mestiere ha avuto funzione trainante: il suo Dulcamara ha una comicità intelligente e spiritosa, ma soprattutto ha il senso della parola e della situazione da autentico cantante attore.
L’Adina di Anna Maria Sarra ha voce fresca e gradevole, non particolarmente estesa, ma ben controllata; l’interpretazione però è ancora scolastica e il personaggio non viene fuori in tutte le sue sfaccettature. Fra i giovani, chi ci è piaciuto di più è stato il Nemorino garbato di Giuseppe Valentino Buzza per la voce chiara dalla linea curata e una indiscutibile sensibilità esecutiva. Buona presenza scenica, ma qualche imprecisione per il Belcore di Marco Bussi. Apprezzabile per disinvoltura e vocalità la Giannetta di Sara Cappellini Maggiore.
Nel contesto non ci è dispiaciuta la direzione di Alvise Casellati per avere accompagnato con sensibilità le giovani voci senza coprirle. Certo, non viene sfruttata tutta la ricchezza dinamica della partitura, ma ne esce la delicata vena elegiaca.
Precisa la prova del coro diretto da Pablo Assante che ha mostrato in questa occasione un ritrovato affiatamento.
Buon successo di pubblico nonostante i tanti posti vuoti giustificati dallo stato d’allerta.