Con una citazione a Giuseppe De Santis e alle indimenticabili mondine di Riso amaro, tra cappellacci di paglia e calzettoni neri a lasciare scoperte le cosce delle coriste, si è aperto L'elisir d'amore secondo la versione registica di Arnaud Bernard. Dei cinque titoli che compongono il cartellone 2013, questo è l'unico allestito nel Teatro Grande di Brescia. Il Direttore Artistico Umberto Fanni infatti, prosegue nella felice collaborazione con il Circuito Lirico Lombardo; la quale produce frutti misurabili in termini di abbattimento dei costi e, come diretta conseguenza, di salvaguardia della qualità artistica, registrando oltretutto un importante riscontro di pubblico, anche molto giovane, che sempre assiepa ogni ordine di posti.
La traslazione temporale ha collocato la vicenda in pieno neorealismo, ben supportato da Bernard mediante luci che, senza aver incupito l'atmosfera, hanno riecheggiato l'epoca del bianco e nero, esplicitato nelle proiezioni succedutesi sul fondale. Arguta la scena che ha visto una carrellata di spot del mitico Carosello scorrere alle spalle di Dulcamara mentre, al microfono, reclamizzava il miracoloso elisir, dopo essere sceso da un'automobile 2CV. Un tele-imbonitore che, esattamente come delineato dal librettista Felice Romani (su spunto di Eugène Scribe) ha usato l'immagine appariscente e la parlantina a raffica per imbrogliare gli ingenui "rustici". Divertentissima oltre che drammaturgicamente rispondente, la sua ascesa conclusiva al cielo munito di ali d'angioletto, redenzione dalle malefatte avvenuta a furor di popolo inneggiante "viva il grande Dulcamara, la fenice dei dottori". Adina si è abbandonata ad una schermaglia amorosa in bicicletta con il sergente Belcore il quale, alla testa di un drappello di bersaglieri con il fez zuavo, ha fatto il suo ingresso spettacolare a bordo di un sidecar d'epoca rosso fiammante. Peccato che quest'ultimo e la 2CV siano stati spinti a mano da un gruppo di comparse. La verosimiglianza è stata definitivamente accantonata quando uno schermo TV (scene dello stesso Bernard e Carlo Fiorini) ha contornato il gruppo dei protagonisti. La storia, tra fermi immagine e sequenze in slow-motion ben strutturati e ottimamente eseguiti, si è così capito essere stata vista da noi spettatori come se ci fossimo trovati seduti nelle poltrone di casa, davanti alla televisione. La verità è stata manipolata attraverso il fittizio mezzo mediatico, alla stregua di una soap opera ante-litteram: una sorta di neorealismo-non-realismo, creato ex novo da Bernard con felice intuizione.
A sostenere un cast bisognoso di solide basi, la bacchetta di Andrea Battistoni, il quale in più di una occasione ha attinto all'esperienza per recuperare prontamente le esuberanze del palco. La giovanissima rivelazione veronese già assurta ad importantissime ribalte, con gesto ampio anch'esso teatrale, ha tratto dall'Orchestra "I pomeriggi musicali di Milano" un suono limpido, importante anche nei volumi (talvolta troppo), dettando tempi incalzanti e briosi. Battistoni ha puntato, più che sui toni romantici, all'esaltazione della cosiddetta commedia di mezzo carattere, impostando una lettura attenta alle connotazioni inerenti i temperamenti, presenti nella partitura di Gaetano Donizetti. Un modo colto di tradurre il riso, sottolineando i risvolti psicologici musicali dei personaggi.
Lavinia Bini possiede una messa in voce morbida e aggraziata, tecnica elegante, buon controllo delle note alte e gamma coloristica emersa al meglio nella zona centrale; agilità sufficiente per affrontare la parte di Adina (con la quale ha recentemente vinto il concorso As.Li.Co.) innamorata cui è mancato un pizzico di malizia, sostituita dall'intrigante fare civettuolo durante i saliscendi amorosi con i suoi due pretendenti. Enea Scala denota mezzi vocali interessanti ma necessita di affinare il controllo della duttilità e l'appoggio della voce, apparsa leggermente ingolata all'esordio, a freddo, per poi averne meglio indirizzato la proiezione. Accenti impetuosi e spinte sugli acuti per un ruolo che abbisognerebbe di sensibilità in dose maggiore rispetto alla concretezza; coerente con la delineazione di Nemorino la cui passionalità ha puntato su tourbillon amorosi più che sul romanticismo. Francesco Paolo Vultaggio, nella seconda replica impegnato come Belcore, nella serata inaugurale ha vestito il nero mantello da mago del basso Dulcamara, ma è sostanzialmente un baritono. Una voce chiara e fresca mossa con discreto controllo attraverso l'intera gamma; impaziente negli attacchi, con qualche scappatella sui tempi. Spiritoso interprete, non avrebbe avuto la necessità di "sporcare" il canto per far emergere il "buffo" proprio del melodramma giocoso. Eccellente la vis comica di Julian Kim, spontanea, calibrata al punto giusto, senza cadute in eccessi, il quale, per aver eseguito con una patina di normalità gli atteggiamenti risibili imposti a Belcore, ne ha fatto un più che perfetto personaggio donizettiano. Notevole anche sotto l'aspetto canoro, dove pure la sua più apprezzata caratteristica si è rivelata essere la misura; dizione più che perfetta, buona tecnica di emissione, attenzione al fraseggio, timbro gradevole e omogeneo, precisione nelle cadenze, elegante linea di canto. Di prorompente simpatia Giannetta, Dorela Cela. Infine, ad affiancare i protagonisti, il mimo Alessandro Mor, Assistente di Dulcamara che, con l'abbigliamento ed il taglio di capelli (costumi di Carla Ricotti), precorrendo i tempi, ha ricordato uno dei Beatles della prima ora. Preparato e partecipativo dal punto di vista della recitazione, il Coro del Circuito Lirico Lombardo diretto da Dario Grandini.
Ostruito da ponteggi il Ridotto affrescato, ulteriore tassello degli importanti lavori di restauro che stanno interessando lo storico edificio. Lo scalone d'ingresso era piantonato da due Carabinieri in alta uniforme, ad accogliere la gara di eleganza scatenatasi tra il pubblico sia femminile che maschile: uno spettacolo nello spettacolo.