Trieste, teatro Verdi, “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti
ELISIR AMARCORD
L’Elisir d’amore, una delle opere più popolari del repertorio (non a caso, seppur composta in soli quindici giorni, ottenne immediato e duraturo successo), è ora in scena a Trieste nel collaudato allestimento di Davide Livermore con scene e costumi di Santi Centineo, spettacolo più volte rappresentato in Italia e all’estero che restituisce con leggera ironia l’atmosfera del melodramma giocoso senza cadere nella caricatura.
Livermore attualizza la vicenda ambientandola in una campagna anni '50 fra covoni, papaveri e messe dorate, al limitare di una periferia accennata da una foto sfuocata sullo sfondo che evoca la ricostruzione del dopoguerra e sancisce la transizione dal mondo rurale allo sviluppo industriale del boom.
Lo spettacolo presenta diverse analogie con l’allestimento di Laurent Pelly (recentemente apprezzato a Parigi e prossimamente in cartellone alla Scala ) ugualmente ambientato in un’Italia naif del dopoguerra con citazioni del nostro cinema degli anni ’50 e ’60. Ma mentre per Pelly il cinema è uno degli elementi d’ispirazione, qui è evidente l’omaggio a Federico Fellini, alle sue creature ed al suo linguaggio neorealista e onirico che trovano assonanze con la favola donizettiana. I protagonisti della “Strada” sono i servi muti di Dulcamara: il muscoloso e rozzo Zampanò e Gelsomina dall’aria mite e sognante che suona la tromba con movenze delicate e stempera le apparizioni del ciarlatano conferendogli vena patetica. Ma anche clowns, Miss Sirena in costume da bagno, Ginger e Fred, Casanova e tanti altri affollano la scena in una progressione surreale e stravagante che, nonostante il rischio di trasformare l’opera in un campionario dell’universo felliniano, risulta gioiosa e divertente. E alla fine Dulcamara, riconosciuta la “superiorità” di Adina, getta la maschera dell’imbonitore e indossa quella del regista, con tanto di sciarpa gialla e sedia, filmando la fittavola come una star, per poi accomiatarsi salendo sulla luna appesa in cielo, ulteriore omaggio all’ultimo film del cineasta.
Lo spettacolo ha un bel ritmo e trova il giusto equilibrio fra gags divertenti e momenti di ripiegamento lirico ed introspezione e trasmette con pochi tocchi la caratterizzazione psicologica dei personaggi facendoci sorridere e riflettere, in quanto ci riconosciamo nei loro difetti e nell’inseguire, ora come allora, l’illusione di un elisir capace di risolvere senza nessuno sforzo problemi di cuore, bellezza, denaro.. Notevole cura è rivolta alla caratterizzazione delle masse e alle controscene: le comparse felliniane che animano la festa paesana, i contadini immobili nell’atto di mietere il grano, le donne di campagna che si trasformano in vamp per sedurre Nemorino.
La compagnia di canto convince per un mix equilibrato di qualità musicali ed interpretative.
Antonino Siragusa non fa di Nemorino un semplice sciocco, ma ne coglie sensibilità e timidezza, risultando toccante senza cadere nell’enfasi. L’interpretazione è stilisticamente sorvegliata, il canto omogeneo e il fraseggio curato. Trepidante e malinconica la “furtiva lagrima”, soprattutto nel bis, con la valigia in mano per sancire l’addio al paese natio come Moraldo nei Vitelloni.
L’Adina di Eva Mei, vestita da Grace Kelly con foulard e occhiali, è la ragazza di campagna che fa la sofisticata per marcare la differenza sociale ma che scopre la coscia e a cui sfugge l’inflessione romagnola. Sprezzante e stizzita all’inizio, tenera e sentimentale poi, dona al personaggio classe ed eleganza merito di una voce duttile e leggera dalle ottime agilità e acuti sicuri.
Il Belcore di Luca Salsi convince per il timbro gradevole e il canto tornito, per l’ indiscussa verve comica e il macho impettito e sbruffone che sfrutta la divisa per conquistare tutte le donne (ma ha l’alito pesante e uscendo di scena cade dalla bici facendo strage di polli), incarnando con simpatia i vizi dell’italiano medio.
Vestito come lo Sceicco Bianco di Alberto Sordi, Paolo Rumetz è un Dulcamara divertente e fanfarone, ma mai sopra le righe, col risultato di un personaggio credibile di cui si apprezza anche il fraseggio.
Carla Di Censo dona particolare risalto a Giannetta per la voce gradevole e la presenza accattivante capace di attirare l’attenzione. Ricordiamo infine i mimi Valentina Arru (Gelsomina) e Giuseppe Principini (Zampanò).
La direzione di Paolo Longo, scorrevole e leggera, non prevarica il canto, ma lo sostiene con garbo, dando il giusto rilievo alle sfumature elegiache e intimiste presenti nella partitura. Ottima la prova del coro preparato da Lorenzo Fratini, in particolare quello femminile dal movimento scenico brillante che strappa l’applauso a scena aperta.
Un pubblico particolarmente divertito durante lo spettacolo ha tributato alla fine calorosi applausi a tutti con ovazioni alla coppia protagonista.
Ilaria Bellini
Visto il
al
Verdi
di Trieste
(TS)