La vivace, naturale leggerezza infusa da Felice Romani e Gaetano Donizetti al loro L'elisir d'amore ha quasi sempre suggerito l'ideazione di messe in scena capaci di rispettarne la fresca musicalità, come pure la spontaneità ed il carattere agreste dei suoi personaggi.
Italo Nunziata è uno dei registi più intelligenti oggi in giro, e soprattutto uno dei pochi che sappia comprendere e rispettare appieno le ragioni della musica. Requisito indispensabile, va da sé, eppure spesso assente in qualche suo collega, magari incensato da certa critica. Anche con questa sua rilettura di questo capolavoro donizettiano centra il bersaglio, operando un intervento molto encomiabile; ed è una edizione che ha girato molto dopo l'esordio al Teatro Sociale di Rovigo, transitando per Jesi e Fermo prima di approdare infine al Comunale di Treviso.
Nel citare nelle sue note di regia alcuni celebri versi metastasiani (Sogni e favole io fingo...) Nunziata spiega la scelta di riproporci i bisticci amorosi di Adina e Nemorino in un contesto atemporale, con i pulitissimi suggerimenti scenici di Pasquale Grossi - quinte ariose di pannelli e strutture lignee, e qualche balla di paglia a dare l'idea della campagna - tenendo sullo sfondo le invenzioni pittoriche floreali del finlandese Hannu Palosuo.
Un contesto visivo che però curiosamente menziona nei costumi - sempre del fido Grossi - un vago ultimo Ottocento (quello della nostra Italia umbertina, si direbbe), traslocando i fatterelli dei nostri eroi in un'epoca che starebbe quindi presso a poco nel mezzo dei due secoli circa che ci separano dalla prima apparizione milanese de L'elisir.
La produzione in realtà sarebbe nata dapprima in ottobre a La Fenice, varando una curiosa collaborazione: nella massima sala veneziana era nelle mani del medesimo direttore - cioè il giovane Matteo Beltrami - affidata però alla regia di Bepi Morassi, mentre scene e costumi si dovevano alla fantasia di Gian Maurizio Fercioni.
Qui il cast prevedeva nomi importanti (quali Rancatore, Albelo, De Simone, Di Candia), mentre quale terza compagnia erano previsti i vincitori del 60° Concorso Toti Dal Monte, tenutosi a Treviso nel giugno 2010. Gli stessi interpreti che poi hanno portato lo spettacolo in giro per i teatri sopracitati, che hanno partecipato alla insolita operazione.
Come concertatore, a Venezia Beltrami aveva destato in chi scrive una impressione positiva; ma sia nelle serate rodigine, sia in queste ultime recite trevigiane la sua concertazione pareva disorganica e poco coerente, con scelte agogiche a volte poco plausibili; e ciò pur potendo contare comunque su una affidabile e rodata compagine quale può definirsi la Filarmonia Veneta.
Più autorevolezza ed attenzione al palcoscenico sarebbe servita soprattutto per mettere più a loro agio i cantanti, tutti giovani di ridotta esperienza con la sola eccezione dell'Adina di Roberta Canzian, affidabile soprano ormai lanciata in una solida carriera .
Se la sono ben cavata comunque, ed hanno riscosso il plauso entusiasta del pubblico: il che vale soprattutto per Javier Tomé Fernández, trentenne tenore basco dalla voce fresca, ben modulata e omogenea, che si distende liquidamente in una gamma che pare perfettamente calzante al ruolo di Nemorino (inevitabile il bis di Una furtiva lagrima); e naturalmente per Roberta Canzian, che il ruolo di Adina l'ha debuttato nell'ormai lontano 1996 - se non vado errato - e che l'ha riproposto con fortuna anche l'anno scorso al Massimo Bellini di Catania.
E' una parte che le si adatta molto bene, per la grazia e la naturalezza che sa infondervi, mentre la voce scorre morbida e sale senza problemi in acuti saldi e ben colorati; insomma, il personaggio della volitiva e capricciosa ragazza sbalzava a tutto tondo sulla scena.
Roberto Sessolo è un giovanissimo baritono veneto che, dire il vero, potrebbe dare molto ma molto ancora deve formarsi: non avrebbe proprio la personalità adatta per il ruolo di Belcore (e si intravede pure qualche problemuccio di intonazione) ma ha ritagliato con intelligenza un saporito e mordace sergente; il più maturo basso romano Alessio Potestio ha consegnato un Dulcamara graffiante e beffardo nella recitazione, e dal punto di vista vocale abbastanza autorevole; il soprano valdostano Arianna Donadelli, voce agile e cristallina, ha delineato una graziosissima Giannetta.
Spiace riferire infine che il Coro Lirico Veneto non appariva sempre all'altezza del compito, pasticciando qualche volta tra le sezioni.