Firenze, Teatro comunale, “L’elisir d’amore“ di Gaetano Donizetti
IL FASCINO DISCRETO DELLA MELODIA
Nell’Elisir d’amore Donizetti dispiega la sua migliore vena giocosa, fatta di fresca invenzione, di spunti popolari frammisti a malinconico lirismo; il compositore bergamasco, riadattando “le Philtre “ di Scribe, già musicato da Daniel Auber che aveva ritratto il mondo rurale con l’occhio cinico del cittadino, ne esalta l’innocenza e l’allegria, facendo emergere un colore contadino nativo sedimentato nella memoria, con una commedia sentimentale che fa sorridere e commuovere, ma anche riflettere sulle umane cose.
Il Comunale di Firenze propone la produzione dell'Opera di Roma, già apprezzata l'anno scorso a Torino (e recensita sul sito). L’allestimento di Fabio Sparvoli è tradizionale e gradevole (anche per merito delle scene di Mauro Carosi e dei costumi di Odette Nicoletti) ed ha il pregio di far parlare con immediata naturalezza l'opera, facendone sgorgare tutta la spontanea comunicativa e dando pieno risalto al canto e al fascino "facile " e irresistibile della melodia donizettiana. Il microcosmo rurale è colto nel suo immobilismo fuori dal tempo, in una dimensione a-storica propria della favola, anche se si coglie un’ambientazione primi anni ’50 nei vestiti di Adina, nelle biciclette usate per percorrere la pianura nel dopoguerra, in un certo buonismo che aleggia nella cascina lombarda dal granaio a doppia altezza pieno di covoni di grano dorato e balle di fieno. L’impianto scenico traduce l’atmosfera naif, quasi pagana, che permea l’opera: la cascina addobbata a festa con ghirlande da albero della cuccagna e coloratissimi mazzi fioriti, il carretto di Dulcamara che sfila portando un immenso scrigno - tabernacolo apribile illuminato come una giostra.
La marcata presenza delle masse dei contadini, oltre a creare il giusto sfondo rurale, è pertinente in quanto è proprio il particolare contesto che rende credibile la storia. Le sapienti luci di Vinicio Cheli scandiscono il passare delle ore avvolgendo la cascina di una luce rosata che evoca meriggi estivi e campagne assolate, diffondendo l’ultimo chiarore di un cielo al crepuscolo contro cui ondeggiano alberi frondosi, fino al notturno turchese di fiaba e magia per la poesia della furtiva lacrima.
Un cast vocale eccellente, italianissimo, particolarmente coinvolto e affiatato, è stato determinante per la riuscita dello spettacolo. Francesco Meli, le cui ultime esibizioni tradivano una certa stanchezza, è apparso in ottima forma in uno dei ruoli a lui più congeniali per vocalità e temperamento. La voce naturale e luminosa di timbro bellissimo ha acquistato maggiore consistenza e non ha difficoltà a riempire la grande sala del Comunale. L’emissione meglio controllata gli consente di sfumare, smorzare, variare fraseggio cambiando peso e colore con espressività, ma sempre all’insegna del gusto, con un canto capace di dipingere affetti e passioni e che evidenzia tutta la ricchezza della partitura.
Eva Mei è un'Adina smaliziata e arguta, una donna adulta rispetto all’ingenuo ragazzo di campagna a cui impartisce, in un misto di civetteria e sufficienza, lezioni di educazione sentimentale. Oltre alla notevole verve scenica, la cantante definisce il personaggio a partire da una vocalità pertinente fatta di agilità naturalissime, acuti squillanti e una linea di canto sicura e musicale che avvolge Adina di grazia e leggerezza.
Fabio Maria Capitanucci ha bella voce scura ed eccellente dizione, ma non sfrutta tutte le potenzialità comiche ed espressive del ruolo di Belcore. Bruno Praticò, autentico buffo e caratterista accattivante, presenta qualche incertezza d’intonazione e la voce di timbro troppo chiaro non ha il peso specifico proprio di Dulcamara, ma sulla scena la vis comica del mattatore compensa i limiti del cantante e conquista per l’autoironia e per la simpatia del povero diavolo costretto ad arrangiarsi dietro la maschera dell’ imbonitore. Dulcamara ha un suo doppio nell’aiutante muto dai capelli arancioni e abiti improbabili interpretato dall’attore Mario Brancaccio, che dona un tocco di comicità surreale allo spettacolo. Eleonora Contucci è una avvenente Giannetta che convince anche per freschezza vocale.
Bruno Campanella, uno dei massimi interpreti di Donizetti, adotta un ritmo brioso e naturale, riuscendo a suggerire appieno il carattere e l’atmosfera dell’opera. Il direttore valorizza la concertazione in un riuscito equilibrio fra voci e strumentale, dando il giusto rilievo ai momenti di effusione lirica e riflessione interiore con suoni morbidi e rotondi, ma sempre all’interno di una lettura vivace e incalzante, leggera e teatrale.
Puntuale come sempre la prova del coro preparato da Piero Monti, con particolare menzione alla sezione femminile delle contadine nella divertente scena con Giannetta.
Lieto fine per tutti, per Nemorino e Adina, ma anche per tutti coloro che hanno contribuito alla serata di festa: cantanti, direttore, regista, scenografo e costumista tutti insieme sul palco accomunati da un palpabile affetto per quest’opera e questa produzione.
Visto a Firenze, Teatro Comunale, il 16 dicembre 2008
Ilaria Bellini
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)