Trentaseiesimo lavoro teatrale di un maestro trentacinquenne: già in questo dato sta il miracolo de "L'elisir d'amore" di Donizetti, il cui fascino è capace di resistere intatto sino ad oggi, e siamo ormai a 180 anni esatti dalla sua prima apparizione. Merito della musica, certo, con un'orchestrazione dinamicissima e piena di fantasia che ora si unisce ora si contrappone al canto, restando sempre ammirevole nei colori; una musica che, pur derivando in linea diretta da Rossini, si fa meno briosa ed irruente, e più umana e delicata, assumendo tratti di una melanconica tenerezza . Merito nondimeno anche dei personaggi che Romani tratteggia nel suo libretto, derivati sì dalla commedia "Le philtre" di Eugéne Scribe, ma resi da lui nel carattere e nella parola assai più credibili e simpatici. Confrontare per credere, se la trovate, la fonte originale.
Quattro personaggi principali: il baldanzoso Belcore riprende la divertente macchietta del "miles gloriosus", con in più una vena di disincantata ironia; e infatti, dopo essersi presentato auto-incensandosi con ampollosa aria «Come Paride vezzoso", se ne esce di scena cantando con nonchalance disincantata «Pieno di donne è il mondo, e mille e mille ne otterrà Belcore».
Adina, da parte sua non è una conquista facile: civettuola e spiritosa, tiene molti beni al sole e non ha voglia di accasarsi presto. Però la sua ritrosia ha vita breve, se nel dispiacere geloso di «Credea trovarlo a piangere» e nel riflettere ansioso di «Quanto amore! Ed io spietata!», entra prepotente quel soffio di malinconia che muta ed addomestica un carattere volubile e altezzoso. Nel personaggio di Dulcamara - erede di una lunga galleria di buffi del repertorio sette-ottocentesco - viene scansata abilmente ogni pesante caricatura, mettendo in mostra un simpaticissimo fanfarone che sa vendere la propria merce grazie ad una parlantina irresistibile, mostrando altisonante nobiltà ed una verve irresistibile. Una figura a tutto tondo, gustosa e quasi reale, che sa declamare con enfasi 'le virtù preclare' del suo 'balsamico elisire', così come sa declinare con ammiccante malizia le strofette di «Io son ricco e tu sei bella». Anche con Nemorino, Donizetti & Romani ricreano un personaggio dai tratti originali, quello probabilmente più ricco di tutti. Come scrive Gino Roncaglia, questo giovane innamorato «non è un'aquila, d'accordo, ed è analfabeta; ma non è un cretino. E' un ingenuo che l'amore ha rincitrullito: è uno "Sciocco per amore', definizione che potrebbe essere il sottotitolo dell'opera». Il suo personaggio segue un suo percorso lineare ma allo stesso tempo sfaccettato: partendo dall'estasi incantata e un po' svenevole di «Quanto è bella, quanto è cara» - una dolce, sospirosa carezza d'amore - perviene al patetismo accorato e coinvolgente di «Una furtiva lagrima», dove discopre che finalmente Adina ricambia il suo affetto. Ma nel mezzo troviamo che combina di tutto: si fa gabellare come un allocco da Dulcamara in un effervescente, ammirevole duetto; passa subito dall'entusiasmo di «Esulti pur la barbara!» al piagnucolio di «Adina credimi, te ne scongiuro»; decide di farsi arruolare da Belcore pur di avere del denaro in tasca (ma che farà, una volta lontano?). Infine si prende una bella ciucca e non s'accorge che le ragazze del paese gli fanno la ronda solo perché uno zio morendo gli ha lasciato 'cospicua, immensa eredità'.
Bene. un meccanismo così ben costruito, così ben equilibrato ha trovato in questa produzione veneziana - ripresa di un felicissimo allestimento di due anni fa - interpreti tutti all'altezza del loro compito, o quasi. Intanto, Celso Albelo e Desirée Rancatore costituiscono una coppia affiatata e ineguagliabile, come hanno dimostrato pure altri loro felici incontri in questo ed altri titoli.
La straordinaria e prodiga vocalità del primo, così affine a quella di un suo conterraneo, l'indimenticato Alfredo Kraus, permette al tenore canario di sfoggiare splendidi e limpidi acuti, con dei 'do' astrali raggiunti con spavalda sicurezza; ma in egual modo delle mezze voci e dei mezzi toni ragguardevoli. Aggiungetevi una dizione perfetta, il senso della recitazione, e soprattutto il sapersi giovare d'un notevole gioco di timbri e colori: che volere di più?.
Anche l'Adina della soprano palermitana è veramente incantevole, indovinando il carattere di una giovanetta impertinente e capricciosa - un po' cinica un po' bamboleggiante - per poi giungere alla consapevolezza di una donna matura. Un crescendo in scena assolutamente inarrestabile, quello della Rancatore, con una condotta di stile sempre pertinente al ruolo, alla fine della quale ovviamente tutti attendono il godimento d'una cabaletta finale dove si libera alto il suo registro acuto e sovracuto, mostrando una disinvoltura acrobatica - le variazioni sono da brivido - che mai fa venir meno quella innata, spontanea musicalità che le è propria.
Quello di Elia Fabbian è un Dulcamara senz'altro notevole, anche se a parer mio meritevole di maturazione e di affinamento nel sillabato: canto morbido e fluido, ben timbrato, articolazione delle frasi resa con buona eleganza, e su tutto una spiritosa gaglioffaggine che esalta appieno il personaggio. Voce importante e una certa dose di arguta eleganza abbiamo trovato anche in Alessandro Luongo: Belcore vanesio e gradasso, con lampi di sapida ironia nella felicissima recitazione; ma con qualche inspiegabile sbavatura nella linea vocale, non sempre a piombo come dovrebbe specie nel registro superiore. Più che corretta la Giannetta di Oriana Kurteshi.
Omer Meir Welber - reduce dalla recentissima "Carmen" - ha diretto guidato l'orchestra ed il coro veneziani con molto ritmo e brio, accorta dinamica dei suoni e molta varietà di fraseggio. Nella sua concertazione si alternano felicemente i momenti di abbandono sentimentale con le impennate ardenti, per opera di un accompagnamento che serviva accuratamente le esigenze dei cantanti.
Quanto al lato visivo, Gianmaurizio Fercioni rievocava con graziosi fondalini i sipari scenografici di un tempo, riletti e reimpiegati secondo il gusto e le esigenze d'oggi, e poneva indosso ai personaggi coloratissimi e fantasiosi abiti di taglio ultratradizionale, disegnati con ottimo gusto; lo spettacolo che ne scaturiva era complessivamente assai luminoso e gradevole, oltre che molto funzionale.
Dell'estroversa e vivacissima regia di Bepi Morassi non si possono che formulare grandi elogi; in perfetta sintonia con la musica, ponderata nei minimi dettagli, era tutta un susseguirsi di gradevoli e spassose invenzioni. L'impressione è che strizzasse l'occhio alla spettatore con bonaria complicità, come a dire: è una favola, certo, ma facciamo finta di crederci e divertiamoci senza pensieri.
Lirica
L'ELISIR D'AMORE
OTTIMO ELISIR IN LAGUNA
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)