Quello di Lella Costa con La vedova Socrate doveva essere un omaggio in occasione dei 100 anni di Franca Valeri, scomparsa il 9 agosto, pochi giorni dopo aver superato il secolo di vita. Così, riportare in scena il testo da lei scritto, ispirato a La morte di Socrate di Friedrich Dürrenmatt e interpretato la prima volta nel 2003, ha assunto il significato ancora più toccante di un passaggio di testimone tra due generazioni di straordinarie donne di spettacolo.
Una moglie e una maschera
Il monologo è ambientato ad Atene, nella bottega di antiquariato di Santippe, moglie del filosofo, descritta dagli storici come una delle donne più insopportabili dell’antichità. L’interpretazione di Lella Costa, attraverso la tagliente ironia e il garbato cinismo che hanno contraddistinto la vita di Franca Valeri, rende Santippe una moglie come tante, fiera e intelligente, che del marito ricorda soprattutto i tanti difetti.
L’attrice entra in scena con il volto coperto da una maschera raffigurante Socrate, poi la appende a un palo, dialogando con essa (e con il pubblico) per un’ora abbondante di spettacolo.
La doppia condanna e la polemica con Platone
Santippe si sfoga, raccontando i dettagli della sua vita matrimoniale e ridicolizzando il più delle volte gli amici del marito (da Aristofane ad Alcibiade), che lei definisce “buoni a nulla”. Santippe svela nei dettagli la doppia condanna a morte inflitta al marito: la prima volta fu il commediografo Aristofane, caduto in disgrazia, a bere la cicuta, ingannando tutti; Socrate riuscì a fuggire a Siracusa con la moglie e qui fu nuovamente condannato, questa volta dal tiranno Dionigi che non sopportava la maggiore capacità del filosofo di reggere il vino.
Il principale bersaglio polemico dello spettacolo è Platone, colpevole, secondo Santippe, di essersi appropriato delle idee di Socrate, pur trascrivendole fedelmente nei suo i Dialoghi: per questo lo ritiene un semplice copista e vorrebbe perfino chiedergli i diritti d’autore.
Il pensiero delle donne
Santippe realizza ritratti ironici di Socrate e dei suoi sodali, così come dei suoi detrattori, finché si convince a scrivere lei stessa un dialogo, nel quale protagoniste sono le donne. Immagina di rivolgersi, dunque, a due discepole, arrivando alla conclusione che bisogna accettare il proprio uomo, così com’è, da vivo e da morto, perché dopotutto “la morte di un marito è un dolore così grande che nessuna donna ci rinuncerebbe”.