Lirica
LES CONTES D'HOFFMANN

Torino, teatro Regio, “Les co…

Torino, teatro Regio, “Les co…
Torino, teatro Regio, “Les contes d'Hoffmann” di Jacques Offenbach LA VITA E' UNA RUOTA CHE GIRA Jacques Offenbach è stato il più grande creatore di operette, eppure ha trascorso la vita sentendosi forse sminuito dalla bravura in un genere considerato “minore” (nel senso del disimpegno) e desiderando misurarsi con l'opera lirica, un solo titolo a cui tanto a lungo ha lavorato da lasciarlo incompiuta. Racconti di Hoffmann, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1881 dopo la morte dell'autore (completata da Ernest Guiraud), è tratta dall'omonimo dramma teatrale di Jules Barbier e Michel Carré (1851) che Offenbach aveva apprezzato a teatro, piéce fondata a sua volta su tre racconti di E.T.A. Hoffmann, sommo scrittore romantico. Il grandioso spettacolo è un bell'esempio di ottimizzazione delle risorse economiche, una coproduzione fra Torino, Madrid, Tolosa e Tel Aviv. La regia di Nicolas Joel (ripresa da Stephane Roche ed esaltata dalle luci perfette di Vinicio Cheli) è rispettosa del libretto fin nei minimi particolari, con il risultato che il pubblico riesce a seguire bene l'intricata e disarticolata vicenda. Joel sottolinea gli spunti divertenti soprattutto nell'atto di Olympia ma non spinge sul buffo, ottenendo un buon risultato drammaturgico e di sfarzosa eleganza. Complice la parte tecnica. La scena di Ezio Frigerio ambienta lo spettacolo in una sorta di grande stazione ferroviaria di fine Ottocento (o un “Cristal Palace” come si legge sul sipario) con grandi arcate metalliche e luminose vetrate. Il velatino pubblicizza, con immagini stile figurine Liebig, i fenomeni del Cristal Palace, dalla regina dei serpenti allo scimmione Gargantua. Bellissima l'apertura del primo atto, con Hoffmann steso a terra e una locomotiva a vapore che s'avanza sbuffante dal fondo scena (da cui poi scenderà Coppélius). L'elemento caratteristico dell'allestimento è un grande rosone vetrato che, sul finire di ogni atto, ruota in senso orario, come un meccanismo di orologio: il tempo passa, il racconto finisce, c'è spazio per un'altra storia. E' la vita stessa che va avanti, che ricomincia, dopo le delusioni, dopo il dolore. E l'artista vede la vita nella sua trasfigurazione poetica. I costumi perfetti di Franca Squarciapino situano l'ambientazione nell'epoca della composizione della partitura, quella Francia del II impero caratterizzata dall'atteggiamento fatuo, arido e spregiudicato che non immunizza dalla malinconia. Notevoli gli automi, in linea con le scoperte dell'epoca e con il senso del libretto e dei racconti di Hoffmann: Olympia sfreccia sulle ruote, gli strumenti suonano da soli nella camera di Antonia, due ascensori salgono e scendono ai lati della scena, la strana vettura semovente a tre ruote di Miracle. Queste trovate armonizzano l'elemento fantastico con quello sentimentale, la componente surreale con quella satirica. La partitura ha, come poche altre, posto spinosissimi problemi editoriali. A Torino si è scelta sostanzialmente la versione Choudens del 1907, in parte con l'intervento di Bonynge degli anni Settanta, con i dialoghi sostituiti dai recitativi cantati. Di conseguenza sono presenti le arie “J'ai des yeux” di Coppélius e “Scintille, diamant” di Dappertutto (apocrifa); la scena in cui Hoffmann perde il proprio riflesso nello specchio non è una pantomima con musique de scène ma un recitativo su musica. Forte è la presenza della Musa che entra in scena col monologo “La verité, dit'on, sortrait d'un puits”: la Musa, vestendo i panni di Nicklausse, dà alla vicenda il giusto perno drammaturgico, costituito dal romantico dibattersi dell'artista fra i due poli dell'ideale artistico e dell'attrazione per l'eterno femminino incarnato da donne diverse ma egualmente apportatrici di rovina per la vicinanza con altrettante personificazioni del Male. È l'istinto d'artista, cioè la Musa, che guida Hoffmann (e non l'amico): così lo scrittore può anche toccare il fondo ma vede il riscatto nella vita suscettibile di trasfigurazione poetica. Pertanto sono stati riaperti alcuni tagli della parte di Nicklausse. Poi: l'atto di Giulietta segue quelli di Olympia e Antonia con maggiore senso di logica teatrale; nel finale dell'atto di Giulietta la protagonista non muore ma se ne va in barca con Pitichinaccio. Nell'epilogo viene ripresa la canzone di Kleinzach e riappare la Musa, indispensabile per chiudere la vicenda, avendo assistito all'inizio nella sua trasformazione in Nicklausse. Sono mantenute alcune delle pagine che Offenbach aveva preso da suoi precedenti lavori, come la splendida barcarole dalle Fate del Reno. Stella è una presenza muta. Emmanuel Villaume dirige l'orchestra del Regio imprimendo i giusti tempi e valorizzando i solisti; sottolinea la freschezza di alcuni passaggi che rimandano al mondo dell'operetta, alternandoli agli altri intrisi di malinconia o comunque più drammatici. Il suono è sempre sotto controllo e si espande con ampio respiro. Buona la presenza e la prestazione del coro, preparato per l'occasione da Claudio Fenoglio. Il ruolo del titolo mette alle corde Arturo Chacòn-Cruz, che ha sostituito a pochi giorni dal debutto l'indisposto Roberto Aronica; la sua prestazione è uniforme, la voce è sfuocata e priva di colori. Trova invece i giusti accenti e convince Marc Laho, in una versione di Hoffmann improntata al romanticismo. Olympia è il cavallo di battaglia di Désirée Rancatore, soprattutto quando, come in questo caso, è una bambola meccanica “cattiva” e viziata: corretta nell'esecuzione vocale, virtuosismi compresi, la Rancatore imprime al personaggio una tale carica attoriale da renderla strepitosamente ironica e il pubblico le tributa applausi da stadio, interminabili: la sua Olympia dà sganassoni a Spalanzani ed a Cochenille e vuole le attenzioni tutte per sé, anche del pubblico al momento degli applausi. Di solito la bambola meccanica si “scarica” e si provvede a ricaricarla con sonori crac-crac, in questa regia la bambola si sgonfia e si riprende per mezzo di una pistola che spruzza aria compressa con un sonoro sibilo. Nel confronto Anna Skibinsky appare, seppure corretta, meno incisiva. Raffaella Angeletti affronta Antonia in entrambi i cast forzando troppo sugli acuti, che risultano gridati. Monica Bacelli è cantante di grande classe e dalla voce particolarmente seducente, tuttavia troppo scura per impersonare Giulietta (nella barcarole Nicklausse è addirittura più chiara): la sua prestazione è perfetta dal punto di vista esecutivo ma la voce ci è apparsa seppure bellissima non adatta, nonostante non ci siano le colorature per l'assenza di “L'amour lui dit, la belle”. Patrizia Orciani nello stesso ruolo ha voce dal giusto colore ed affronta il ruolo con padronanza. Nino Surguladze è una Nicklausse di grande temperamento e dalla bella voce, usata in modo ottimale soprattutto nel fraseggio intenso e sfumato. Bene anche Manuela Custer, meno carismatica dal punto di vista attoriale. Simone Alberghini è un debuttante di lusso nei ruoli “cattivi”; con molto coraggio e generosità il baritono ha sostituito l'indisposto Alfonso Antoniozzi e, dopo la prova generale, ha affrontato entrambe le prime con i due cast in due giorni consecutivi. Alberghini ha una bella voce e una notevole presenza scenica unita a grande capacità attoriali, riuscendo così a differenziare i personaggi, dal feroce Lindorf all'intrigante Coppélius, dal diabolico, malefico Docteur Miracle al seducente Dappertutto. Molto divertente ed adeguato vocalmente Carlo Bosi nei ruoli servili (Andrès, Cochenille, Frantz e Pitichinaccio). Buone le prestazioni anche nei ruoli di contorno che non cambiano con i cast: Emanuele Giannino (Spalanzani), Alessandro Guerzoni (Crespel), Armando Ariostini (Schlémil e Hermann), Diego Matamoros (Luther), Gianluca Sorrentino (Nathanafil), Giovanna Lanza (madre di Antonia); con loro Maria Paola Ribecchi, la presenza “muta” di Stella nell'epilogo. Qualche posto vuoto in sala; la sera della prima il pubblico si è assottigliato atto dopo atto, mentre ha resistito maggiormente alla prima replica. Successo pieno con molti applausi generosamente per tutti sia a scena aperta che alla fine, entrambe le sere. Negli intervalli i lavoratori del teatro hanno giustamente protestato contro i tagli alla cultura decisi dal Governo nazionale, distribuendo il volantino “La musica è finita”. Visto a Torino, teatro Regio, il 30 e il 31 gennaio 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Regio di Torino (TO)