Monumentale grend-opéra a soggetto classico, andata in scena la prima volta oltre vent'anni dopo la scomparsa del compositore, Les Troyens “si presta ad indagini su molti livelli, tra cui quelli relativi ai contenuti ideologici, alla metafora politica sottesa. (…) Un corto circuito tra un presente e un futuro separati da secoli, tra maledizione e gloria, tra sconfitti e vincitori: qualcosa di molto diverso da un'apoteosi”. Le parole di Laura Cosso contenute nel programma di sala ben si prestano a introdurre questa coproduzione tra teatro alla Scala, Royal Opera House Covent Garden, Wiener Staatsoper e San Francisco Opera, uno spettacolo che resta fedele alla dimensione epica dell'opera ma parla al pubblico di oggi citando Virgilio, Shakespeare, la cinematografia contemporanea, la tragedia classica, il teatro di prosa ma soprattutto sottolineando in modo chiaro e comprensibile simboli e snodi della trama, giocata sulle due parti in cui l'opera è divisa: “La presa di Troia” (primo e secondo atto) in cui si narra la vittoria dei greci e “I Troiani a Cartagine” (terzo, quarto e quinto atto) in cui si narra l'amore tra Didone ed Enea.
Il nuovo allestimento in edizione integrale comprensiva di tutti i balletti è stato affidato al talento di David McVicar, regista scozzese che ha creato spettacoli indimenticabili (tra i tanti Il flauto magico visto recentemente anche a Roma e qui recensito).
McVicar, con il fondamentale apporto della scenografa Es Devlin, sottolinea la cesura fra le due parti creando mondi e stili diversi. Anche i costumi di Moritz Junge insistono sulle differenze: un mondo grigio, polveroso, di ottocentesca decadenza per la prima parte, un mondo sereno, pacificato e di mediterranei colori per la seconda parte.
Ne La presa di Troia la città fortificata viene rappresentata con una struttura convessa di ferro grigio e arrugginito a più piani con balconate praticabili, che si divide in due per fare entrare/uscire il cavallo: una gigantesca testa equina di metallo composta da un’accozzaglia di armi, scudi, ferri bruniti, ruote dentate, detriti di una guerra estenuante. Come un autentico cavallo di Troia uomini al suo interno la manovrano facendola oscillare mentre si illumina di rosso nel momento della catastrofe. Quel muro compatto metallico si apre per mostrare la famiglia reale e il cavallo, scoprendo in realtà che il cavallo è già dentro (idea portante nelle scelte registiche e assai evocativa per lo spettatore). Il mondo dei troiani è tutto nero intorno, dentro è grigio e polveroso, ha il colore rugginoso del ferro vecchio e del lungo conflitto, gli stessi troiani sono in uniformi consunte che rimandano al secondo Ottocento. Gli anziani monarchi Priamo ed Ecuba si trascinano stanchi e disorientati e si respira un’atmosfera di disfatta. Cassandra è vestita di nero e occhi tatuati sui palmi delle mani, chiaro rimando alla preveggenza e al senso tattile nell'approccio con il mondo a contrasto con le inutili e rovinose strategie mentali belliche. Nello spirito di Ettore insanguinato e nella cicatrice sul volto di Panteo ritroviamo un po' il Mc Vicar pulp.
Tutt’altra atmosfera per I Troiani a Cartagine: l'altra faccia della medaglia. La scena ruota facendosi concava e rappresenta una città di sabbia color color ocra con le case scavate e sovrapposte come i Sassi materani, una sorta di odeon dorico dove si dispone il coro variopinto e festoso, uno spazio che ricorda i granai fortificati delle montagne della Libia e anche le case trogloditiche dell'interno tunisino. Al centro della scena un modello ligneo circolare di una città ideale adagiato sul pavimento, la Cartagine velocemente costruita di cui Didone è fieramente orgogliosa. Quando Enea sostituisce Cartagine nel cuore di Didone, il plastico viene issato in verticale e illuminato da luci violette, oscura il cielo e diventa una specie di luna che favorisce gli amanti per poi finire spezzato in due come il cuore della regina abbandonata. Un’altra scultura metallica a forma di torso umana (creata con armi arrugginite come il cavallo) sorgerà e prenderà fuoco a preannunciare vendetta e nuove sciagure. Intanto dagli squarci della scena si erano intravisti un albero i cui rami si incendiano allo scoccare dell'amore tra Didone ed Enea oppure un campo di grano in verticale per la serenità della pace, salvo tutto ripiombare in un nero assorbente durante il finale.
L’opera è lunga ed impegnativa, oltre all’apparizione del cavallo ci sono altre immagini d’impatto come il messaggero alato che sbatte le ali che si proiettano livide nella notte a gettare un'ombra sull'idillio di Didone ed Enea o l’intrico di funi che cala dall’alto allusivo alla partenza dei troiani o le donne troiane dolenti con gli idoli in mano e i capelli sciolti in segno di lutto. I balletti di Lynne Page uniscono passi classici a dettagli tribali e si lasciano ben seguire: splendida la scena della caccia coi cani a inseguire una preda aizzati dagli arcieri. Essenziali a determinare le atmosfere così differenti dei vari momenti le luci di Wolfgang Göbbel riprese da Pia Virolainen. Alla regia ha collaborato Leah Hausman.
Antonio Pappano fornisce una prova di straordinari precisione e nitore, un’orchestrazione dai suoni bellissimi, ricchi di colore e sfumature, precisi e puntuali per illustrare con chiarezza l’ampiezza monumentale della partitura e pregnanti dal punto di vista drammatico: contrastata, dura e barbarica la prima parte; levigata, scintillante, e composta la seconda; sempre comunque oscillante tra una vibrante sensualità e una ferinica insensatezza. Una direzione che non si dimentica per forza, precisione, emozionalità. Ogni momento sarebbe da descrivere e ripetere ma, anche grazie al talento dei tre protagonisti, non possiamo non dire della presenza strepitosa di Cassandra, del duetto d'amore tra Enea e Didone, del lungo monologo finale di Didone.
Anna Caterina Antonacci è una Cassandra molto intensa, tragica per il magnetismo innato e per lo scavo fatto sul personaggio di cui restituisce ogni sussulto. C’è molta Medea in questa Cassandra, sacerdotessa un po’ strega e donna appassionata, che, invasata, si rotola a terra o immobile sfrutta la potenza espressiva delle mani e il saettare dello sguardo. Non da meno il canto, tutto giocato sul fraseggio e sulla variazione dinamica, in un francese perfetto di cui coglie ogni nuance, scolpito con l’arte dell’autentica tragédienne.
La seconda parte è dominata dalla Didone di Daniela Barcellona, dotata di voce possente e ben più estesa, una Didone gioconda che utilizza al meglio idiomaticità e varietà di accenti per una corretta differenziazione dei diversi stadi psicologici, bravissima nel tratteggiare i momenti tragici e prima quelli dell'innamoramento.
Gregory Kunde stupisce per la sua immagine di Enea agée, la linea appesantita e i capelli grigi, la barba non curata e una stanchezza interiore che non gli impedisce di portare a termine il volere divino seppure con inesausta fatica; la voce è ferma e sicura, dal registro acuto sicuro e squillante, fondamentale per la parte di Enea, che il tenore propone con un accento intimo moderno e incisivo.
Molto curati tutti gli altri (numerosi) ruoli. Maturo a livello vocale e interpretativo è Fabio Capitanucci, un Corebo di lusso che non sfigura accanto a Cassandra. Mario Luperi è un Priamo autorevole, Elena Zilio una Ecuba triste e vicina al marito, Sara Barbieri una dolente Andromaca in abito da sposa.
Disinvolto e fresco l’Ascanio di Paola Gardina, nonostante la brevità della parte scuote la sala la voce del fantasma di Ettore affidata a Deyan Vatchkov. Bene anche Alessio Nuccio (Astianatte) e Sara Catellani (Polissena). Voce musicale e ben timbrata per il poeta Iopas di Shalva Mukeria, bella voce tenorile brunita quella di Paolo Fanale nel ruolo di Hylas. Puntuale e assai intenso il Narbal di Giacomo Prestia, Maria Radner è un'Anna partecipe e vocalmente impeccabile, Alexander Duhamel un bravo e convincente Panthée.
A completare il numeroso cast Luciano Andreoli (un soldat), Oreste Cosimo (Hélénus), Ernesto Panariello (un chef grec), Emidio Guidotti (Le dieu Mercure), Guillermo Esteban Bussolini (1er soldat troyen) e Alberto Rota (2eme soldat troyen). Il coro è stato splendidamente preparato da Bruno Casoni. Fondamentali per la riuscita sia i mimi che il corpo di ballo.
Pubblico numeroso che non si è assottigliato nel corso della lunga recita, applausi numerosi durante la rappresentazione ed entusiastici nel finale con vere ovazioni per Antonio Pappano, Anna Caterina Antonacci e Daniela Barcellona. Un trionfo per uno spettacolo imperdibile al quale attribuire il massimo di cinque stelle del sito pare addirittura troppo poco.