In un gioco tra sogno e realtà i pensieri dei due protagonisti – interpretati divertendosi, ma con metodo, da Tiziana Foschi e Antonio Pisu, anche autore del testo - si sfidano, coinvolgendo il pubblico.
Antonio Pisu è autore e interprete – insieme con Tiziana Foschi – di Lettere di oppio, un testo ambientato a Londra nel 1860, durante la seconda, estenuante guerra che ha visto contrapposti il Regno Unito e la Cina, a causa delle dispute commerciali per l’oppio. Il giovane regista Federico Tolardo – tra i primi allievi diplomati al liceo coreutico “Germana Erba” di Torino – opta per una regia non esageratamente intimistica, indirizzando l’attenzione degli spettatori sulla dimensione onirica dell’allestimento, che grazie al potere terapeutico dell’oppio aiuta a comprendere meglio le dinamiche che intercorrono da sempre tra gli esseri umani, anche di diversa estrazione sociale.
Parole onomatopeiche
Dorothy Wellington attende da tempo il ritorno dal fronte del marito George: la sua unica compagni, in queste giornate scandite da un profondo senso di solitudine, è Thomas, giovane e cinico maggiordomo le fa compagnia Thomas, giovane e cinico maggiordomo.In un gioco tra sogno e realtà i pensieri dei due protagonisti si sfidano, coinvolgendo il pubblico mediante il ricorso ad alcuni “ a parte” strategici; tra i due, gradualmente s’instaura un autentico e toccante rapporto di amore/odio, intimo e profondo, fatto di parole e silenzi, dove il rumore delle porte che si aprono e si chiudono viene trasformato in parole onomatopeiche.
Spazio alle pagine
Originale la concezione dello spazio scenico, quasi un non-luogo, dove i due attori si muovono con disinvolta consapevolezza tra cumuli di libri sistemati con cura e criterio. Pagine e parole, dunque, dominano la scena, in una commedia totalmente funzionale all’estro interpretativo della coppia di attori sul palco, dove diventa fondamentale la capacità del pubblico di affidarsi a quel meraviglioso meccanismo teatrale noto come sospensione dell’incredulità.
Molto interessante, inoltre, il contrasto tra l’ambientazione britannica tipicamente ottocentesca e le musiche che introducono i cambi scena e richiamano sonorità riconducibili alla traduzione americana del primo Novecento.