Lettres de non-motivation è il primo dei tre spettacoli presentati da Vincent Thomasset alla Biennale Teatro 2018; gli altri due sono Ensemble Ensemble e Médail Décor, e questo è probabilmente quello che più si distacca dalla ricerca sul linguaggio, condotta con parole e gesti, alla quale il regista e autore francese si è dedicato in tutta il suo percorso artistico.
Non è un caso, tra l’altro, che proprio questa messa in scena nasca da testi che non gli appartengono, ma che prende in prestito da Julien Prévieux, artista visionario ed eclettico, autore di una serie di missive destinate a rifiutare proposte di lavoro.
Nell’attesa di un riscontro da parte vostra
Finiscono inesorabilmente così tutte le lettere che Prévieux ha spedito, a partire dal 2000, ad aziende private, pubbliche amministrazioni, negozi, laboratori artigiani altro ancora. Una conclusione, se si vuole, dettata semplicemente dall’etichetta e dalla buona educazione. Ma se la formula è scontata, non lo è il contenuto delle lettere. Lettere di non motivazione, appunto. Scritte per rifiutare e non per proporsi: nessun curriculum allegato, nessun’ambizione strisciante, nessuna aspirazione che aspetta di essere soddisfatta. Al contrario, veniamo a conoscenza di lunghe e dettagliate analisi sui motivi del rifiuto, di casuali sventure che costringono a rinunciare, di semplici constatazioni sulla propria inettitudine lavorativa e persino di strampalati cambi d’idea successivi a una pennichella postprandiale. In uno spazio scenico in gran parte vuoto, appena un microfono, una lampada sospesa e uno schermo sul quale vengono proiettati gli stralci delle inserzioni, si muovono i cinque attori che interpretano le lettere, mescolando registri linguistici e atteggiamenti che vanno dal disperato al patetico, dal perentorio all’esaltato.
Ogni lettera è un mondo
Chi scrive una lettera per cercare un lavoro finisce per descrivere il proprio mondo, ma lo stesso fa chi espone i motivi del suo rifiuto. Questo sembra essere il nocciolo della messa in scena di Thomasset: la stanchezza e l’apatia, che appaiono le motivazioni più facilmente intuibili in chi rifiuta un lavoro, si trasformano nei gesti e nelle intenzioni degli attori in mondi iperbolici, pur tuttavia comprensibili nei loro contorni paradossali. E’ il caso, per fare un esempio tra i tanti, della lettera in cui chi scrive spiega di aver redatto un curriculum dettagliatissimo, di averci impiegato ben diciotto giorni, ma di averlo poi smarrito e di non sentire la necessità di impiegare altrettanto tempo per riscriverlo. E per questo motivo, dunque, rifiuterà la proposta dell’inserzione. E’ una vita banale, insomma, quella che si celerebbe dietro queste lettere di non-motivazione. Banale, certo, ma pur sempre vita. E tuttavia, la banalità del rifiuto non è in fondo altrettanto forte che la determinazione di chi un lavoro invece lo vuole a tutti i costi?
Spettacolo: Lettres de non-motivation
Visto al Teatro alle Tese di Venezia.