Milano, teatro alla Scala “L’histoire de Manon” coreografia di Kenneth MacMillan
SUCCEDE COSI’, ALL’IMPROVVISO, CHE TI INNAMORI
Una sera, a teatro, all’improvviso, ti innamori. Inaspettatamente. Succede così. All’inizio non lo sai, perché non ci credi, pensi che non può essere. Ma i segni sono inequivocabili, il cuore batte veloce, il respiro è corto, vivi in apnea tra un contatto e l’altro.
Come succede a Des Grieux, che sta leggendo un libro, per strada (a teatro, invero), tanto per passare il tempo. E vede Manon, mentre lei si lascia incantare dai complimenti di altri. All’improvviso lui si innamora, si avvicina e le parla con la scusa del libro che ha in mano. Ma potrebbe essere qualsiasi scusa, una penna dimenticata, un foglio di carta per prendere appunti. Manon non ha mai avuto niente e le iniziali attenzioni di Des Grieux le sembrano un mondo, il mondo. Des Grieux si ritrae impaurito dalla totalità di quell’amore a prima vista, dal naufragio che potrebbe comportare. Poi subito prevalgono la gioia, la spontaneità, l’intesa fisica e psichica, lo stare bene insieme, il dimenticare tutto ciò che è altro da loro due, quando il resto del mondo scompare o non conta più nulla. Il passo a due è appena irrigidito dalla naturale diffidenza e dalla poca dimestichezza dell’uno verso l’altra, come il primo rapporto d’amore in cui non si conosce bene il corpo dell’altro, ma il senso della scoperta e dell’attesa di felicità piena e matura è evidente nella coreografia, nello slancio verso l’alto, nell’ampiezza dei movimenti, nella totalità e nell’intensità dello svolgersi dell’azione.
Poi la scena si sposta in un interno, una tenda rossa fa da sfondo, l’amore e la passione, ormai compiuta. Il passo a due non è più la conoscenza iniziale, ma un amore pieno e corrisposto. I baci si fanno più lunghi, più languidi, i contatti più intimi, il trasporto totale. Una passione che brucia, nell’incredulità che sia davvero concreto quello che provano. Gioia piena della presenza dell’amato. Des Grieux deve uscire, Manon lo chiama, “aspetta, amore, un minuto, ancora un bacio”, poi, uscito lui, letteralmente si tuffa sul letto, pazza di gioia, pazza d’amore. Pazza di lui. Però Manon non ha esperienza e scambia i costosi doni di G.M. per un amore ancora più grande, lei che non ha mai avuto nulla. Ma non c’è assolutamente la stessa intesa con Monsieur, i movimenti sono legnosi, i due insieme sono poco affiatati, freddi, allora interviene il fratello di lei, porco bastardo interessato e la sventurata cede. Ma guardando quel letto, in cui tanto felice è stata con Des Grieux, piange. E se ne va. Il fratello intasca la ricompensa, ride beffardo, il traditore, che ha approfittato dell’ingenuità di Manon e, quando rientra Des Grieux, prova a corromperlo con una parte dei soldi. Des Grieux è incredulo, sdegnato, ferito. Addolorato. Rifiuta. E si azzuffano.
In un sontuoso interno di salone con specchiere, candelabri, paraventi, tendaggi, ha luogo una festa, anche se l’allegria è fuori dal cuore dei protagonisti. Sul vibrato commovente dei violini lui la vede per la prima volta dopo che è stato abbandonato. Lei si accorge della sua presenza (gli innamorati percepiscono con superiore sensorialità) e volge lo sguardo turbata, vestita e pettinata da gran signora. Però con G.M. è ancora impacciata, nonostante il tempo trascorso, insieme non volteggiano liberi, hanno sempre i piedi a terra. Pesantemente, come l’anima, incatenata, che non vola. Lui guarda solo lei, per lui esiste solo lei, che è in evidente stato di disagio e sul pizzicato veloce degli archi balla da sola, le braccia fluttuano come alghe nella corrente fluviale, onde d’amore. I flauti spiritosi e sogghignanti danno voce alla sua civetteria. Lui si avvicina e la sfiora, lei fugge, impaurita da quello che ancora potentemente prova per lui: il fagotto è alleggerito dai legni, ma il turbamento e la potenza del sentimento sono ben espressi dallo strumento. Presto è evidente che i sentimenti non sono di pari intensità: Des Grieux è il più coinvolto, dunque il più debole, dunque il predestinato a soffrire. Manon accetta in regalo da G.M. un braccialetto e se lo da infilare guardando Des Grieux, che impazzisce di rabbia e di dolore, impazzisce sì, perché non si capacita che un sì grande amore possa non essere corrisposto con altrettanta intensità. Allora si avvicina, le prende la mano, le accarezza il viso, con le dita le sfiora la punta delle dita, si umilia, chiede spiegazioni e, disperato, si abbatte sul tavolo e piange. L’avidità di quella stronza di Manon non ha limiti né dignità; lei lo convince a giocare a carte barando, in modo da vincere soldi per lei. Lui cede, in amore si finisce per accettare dei compromessi che non avremmo mai voluto. Lei è felice quando lui vince, lo accarezza al volto con un gesto subitaneo ed invisibile agli altri. E lui continua, dimenticandosi della propria dignità, ferita, calpestata, annullata.
Infatti, subito dopo, la sua camera è apparentemente uguale a prima, ma in luogo della parete rossa ce n’è una grigia rattoppata, che sembra un quadro di Burri. Ma la passione sopita sotto le cenere riesplode nei gesti dell’amore, solo una fugace ombra causata dal bracciale, poi prevale la felicità dell’essersi ritrovati innamorati come prima (lui di più, come prima, esattamente). Litigio e riappacificazione.
Terzo atto. Il finale. L’oboe accompagna la discesa dalla nave in terra d’America, nella luce autunnale carica di disperazione. Una disperazione che è anche nel darsi al primo venuto, al carceriere che la può liberare. Manon e Des Grieux corrono di nuovo liberi nelle paludi, liane di stracci che pendono, come sulle spalle di un destino ormai lacero e a brandelli. Rivedono un passato che a tratti è confortante a tratti incubo e desolazione, rammarico per gli errori fatti e non più rimediabili. Manon è a terra, sfinita, abbracciata a Des Grieux che non smette di baciarla, di accarezzarla, di stringerla a sé. I movimenti sono indeboliti, minimi, ma pieni d’amore, le braccia di lei penzolano nel vuoto, si limitano a seguire il movimento del corpo, al movimento che lui imprime al corpo di lei; lui che la afferra quando sviene, lui che la lancia in alto in un estremo e disperato tentativo di salvarla, lui che la ama come nessuno la amerà mai, che la ama come mai ha amato nessun’altra… ma lei ricade a terra sempre più pesantemente. Fino all’ultima volta. Fino a quando non si rialza più.
Su Alessandra Ferri si è scritto ormai tutto ed è ancora tutto vero, dall’espressività del volto, alla comunicatività dell’atteggiamento corporeo, dalla disciplina dei gesti alla nobile assolutezza di un modo di danzare che la rendono unica. E Roberto Bolle è un Des Grieux innamorato e perfetto nei movimenti, con in più il suo sguardo, uno sguardo disarmante anche per il cuore più coriaceo. Entrambi interpretano la coreografia di MacMillan su musiche da massenet con estrema perizia, rispettando la volontà dello scozzese che ha voluto ricreare un balletto di impianto puramente classico riletto con le tensioni intime contemporanee, al punto che l’identificazione tra gli spettatori ed i sentimenti descritti è immediata e totale. Di alto livello le prove di orchestra (direttore Ermanno Florio) e corpo di ballo scaligeri. Perfetti scene e costumi di Nicholas Georgiadis. Dopo le repliche milanesi questa “L’histoire de Manon” sarà al Regio di Parma (28, 29 pomeridiana e serale e 30 ottobre) e al Regio di Torino (dall’8 al 16 novembre).
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 18 ottobre 2005
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)