Nel suggestivo scenario del chiostro dell’ex convento di San Domenico di Martina Franca, il 41° Festival della Valle d’Itria ripropone – come ormai è tradizione – un titolo del repertorio barocco. Quest’anno i giovani cantanti dell’Accademia belcanto “Rodolfo Celletti” si sono cimentati in un titolo impegnativo e alquanto significativo per la storia dell’opera lirica, L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, che l’autore mise in scena nel 1642 a Venezia. Gianmaria Aliverta ne ha curato l'adattamento e la regia, non solo riducendo la durata della monumentale opera, ma rendendola più fluida e omogenea, tenendo anche conto dello spazio ristretto in cui è stata rappresentata. Aliverta snellisce e attualizza, elimina alcuni personaggi secondari e rende quelli in scena parte integrante di una visione moderna e disancorata dal testo ufficiale. Se questa attualizzazione risulta essere riuscita in più parti, la scelta del regista di ricostruire un'Incoronazione di Poppea adatta ai tempi (togliendo del tutto i recitativi per esempio) può apparire non solo inconsueta ma filologicamente inopportuna: alla fine ci si può chiedere se si tratta veramente de L’incoronazione di Poppea di Monteverdi o di Aliverta.
La semplice e “fiorite” scene del collaudato Raffaele Montesano riportano a una ambientazione idilliaca di giardino o patio che potrebbe benissimo essere di uno dei bellissimi palazzi di Martina e si è ben sposata alla regia di Aliverta, dandole la dinamicità necessaria per vivacizzare i vari momenti; i pertinenti e ben definiti costumi contemporanei sono di Alessio Rosati. Aliverta fa sparire l’idea di palcoscenico e la scena è al centro del chiostro, i cantanti entrano ed escono dai vari angoli creando situazioni di movimento e di piacevole dinamicità. Alcune situazioni registiche risultano però difficili da comprendere e la troppa simbologia usata necessità di una attenta lettura del programma di sala.
Il maestro Antonio Greco, coordinatore musicale per il repertorio antico del Festival, ha diretto dal cembalo un piccolo ensemble di strumenti originali, Cremona Antiqua, per la prima volta al Festival. La cura filologica del maestro Greco è nota e anche qui ha dato prova di essere all’altezza del testo di Monteverdi; la sua direzione è risultata essere sciolta e brillante, caratterizzata da pagine dinamiche ma anche da momenti di grande intensità drammatica, il tutto delineato da una grande perfezione stilistica.
Nel ruolo del titolo Quiteria Muñoz Inglada risulta essere scenicamente adeguata e dà una visione sensuale del personaggio; buona la voce, calda, ma forse non pienamente in sintonia con questo titolo; anche la dizione non sempre è ineccepibile. Shaked Bar ha delineato un Nerone forte e appassionato, dotata di una voce ben proiettata e dalla bella coloratura, piena e con acuti decisi e puliti, indubbiamente il pezzo forte della serata. Margherita Rotondi è stata una dinamica e perfetta Arnalta, garbata sulla scena e dalle ottime qualità attoriali. In un ruolo femminile e decisamente ed eccessivamente caricaturale Giampiero Cicino, dalla vocalità adatta al ruolo della Nutrice. Molto bella la tonalità di basso di Nicolò Donini in Senaca, che è riuscito a dare al personaggio l’autorevolezza dovuta. Molto brava e pienamente nel ruolo, con una voce dolce e soave, Tal Ganor in Drusilla. Kristian Lindroos ha rivelato una voce di tutto rispetto e il suo personaggio di Mercurio è stato perfetto anche grazie al fisic du role. Molto brava Francesca Sartorato in Ottone. Validi anche gli altri cantanti, tra cui si segnala Anna Bessi in Ottavia; ricordiamo infine il Primo Soldato di Vlad Alexandru Robu, il Secondo Soldato di Vittorio Dante Ceragioli, Graziana Palazzo in Fortuna, Daniela Milanese in Virtù, Margherita Rotondi in Arnalta.