All'Opera di Roma le repliche di fine giugno della “Traviata di Valentino” (leggi la recensione nel sito) si intrecciano a quelle di Linda di Chamounix ed è un'occasione imperdibile in quanto la seconda è opera bella e rara (a Roma si è data solo tre volte: nel 1885, 1889 e 1913), la parte musicale è perfetta e lo spettacolo affascinante per un'opera popolarissima nell'Ottocento e poi quasi scomparsa nel Novecento, fino a un recupero recente in qualche teatro europeo ma non in Italia.
L'opera è semiseria e rischia di essere considerata un pastiche informe, con l'ambiente bucolico e virtuoso contrapposto alla vita parigina lussuosa e lussuriosa. Evita il rischio il regista Emilio Sagi grazie a una connotazione non marcata di luoghi e tempi, non marcata ma comunque evidente e funzionale al libretto. La scena di Daniel Bianco è giocata su tinte pastello avorio e bianco, quasi mediterranee anziché alpestri: nel primo atto una selva di tronchi lisci in mezzo a due pareti che si restringono verso il fondo; nel secondo un atrio di casa la cui parete di fondo, quasi a ridosso del sipario, è tagliata da una scala con balaustra; nel terzo la stessa scena dell'inizio ma senza alberi e con lucine in stile festa di paese. I costumi di Pepa Ojanguren non definiscono precisamente un tempo (cosa evidentemente voluta) ma, restando storici, vagano tra la fine dell'Ottocento e il Novecento: tutti comunque belli, eleganti e coerenti. Le luci di Albert Faura contribuiscono a un senso di vago straniamento antinaturalistico.
Emilio Sagi affronta un libretto esile e con qualche momento di poca coerenza in modo da consentire allo spettatore di seguire la vicenda facilmente. Se le masse risultano statiche e forse si può opporre ai protagonisti una certa banalità nella gestualità, tuttavia si è apprezzato il risultato che nell'insieme appare bello e arioso, credibile e comprensibile nella sua uniformità pur in presenza di un'opera priva di continuità drammaturgica.
Grosso merito per il risultato eccellente va al direttore e al cast (l'opera era stata scritta per i migliori cantanti dell'epoca). Riccardo Frizza riesce a cogliere gli stili antitetici facendoli dialogare in modo interessante, sia gli aspetti lirici che quelli buffi, creando la giusta atmosfera che forse al libretto manca. Frizza non manca di sottolineare gli evidenti richiami mozartiani e rossiniani e li inserisce in un contesto compiutamente romantico che quasi preannuncia certe scelte verdiane successive.
La linea vocale di Jessica Pratt è luminosa e la musicalità eccellente: la sua Linda sfoggia virtuosismo senza alcuna difficoltà, con acuti e sovracuti cesellati e affrontati in modo pieno pur mantenendo sempre una buona espressività e conferendo al personaggio vera umanità (in particolare ci hanno convinto il duetto col Marchese nel secondo atto e il finale con la riconciliazione con l'amato Carlo), con un canto che resta morbido anche nelle colorature. Regge bene il confronto Ismael Jordi dalla bella voce e dalla linea di canto controllata anche nei passaggi, per un Carlo che si impone in scena. Roberto De Candia ha timbro ampio e ricco e coglie tutte le corde di Antonio. Bruno De Simone è un Marchese perfetto nel difficile bilanciamento del buffo che non deve scadere nel ridicolo. Ketevan Kemoklidze è un Pierotto dal giovanile vigore e la cui voce brunita perfettamente si adatta al ruolo en travesti. Tonante il Prefetto di Christian Van Horn in abito da prete. A completare adeguatamente il cast la Maddalena di Caterina Di Tonno, l'Intendente di Saverio Fiore e il coro, ottimamente preparato da Roberto Gabbiani.