Proprio una farsa, no. Malgrado sia collocata tra gli atti unici giovanili di Rossini – tutti denominati in tal modo, prevalentemente comici - in realtà L'inganno felice - l'opera che ha inaugurato a Vicenza le Settimane Musicali 2018 - di buffo ha ben poco. Tipico lavoro semiserio dai tratti sentimentali, rientra piuttosto in quel genere delle piéces à sauvetage che nel Pesarese avrebbe trovato culmine ne La gazza ladra. E che con La scala di seta rappresenta la punta della fase giovanile, prima della formidabile svolta di Tancredi ed Italiana in Algeri.
Musica e teatro a braccetto
Ecco una partitura dove musica e teatro scorrono di pari passo. Che sia meritevole di attenta considerazione lo si avverte già dalla Sinfonia strutturalmente luminosa e ben articolata, preannuncio dei capolavori successivi. Gioiosità di carattere, trasparenza della trama sonora, il fiammeggiare dei colori risplendono tra le mani di Giovanni Battista Rigon, a capo della snella Orchestra di Padova e del Veneto. Buon inizio, proseguo ancor migliore: perché tutta la concertazione di Rigon non è solo giudiziosa e precisa, ma pure varia ed espressiva, intrisa di vaporosa levità, gradevole elasticità ritmica, brillante carica teatrale. In sostanza, lo spirito rossiniano – fatto di humour e ironia, ma anche di tenere affettuosità – trova in Rigon, ancora una volta, un realizzatore appassionato.
Tanti giovani in scena
Sotto la sua bacchetta un cast giovane, entusiasta, e da lui ben preparato. Il ruolo di Bertrando ben si addice al tenore Patrick Kabongo grazie alla scioltezza tecnica, al timbro limpido e bellissimo, all'agile estensione al registro superiore. Magari un po' impettito in scena, ma pazienza. L'emissione sopranile di Eleonora Bellocci (Isabella), riesce talora un po' asprigna, ed asciutta; la tecnica è affinata, indubbiamente, ma serve ancora un certo lavoro sul suono, nella prospettiva di positivi sviluppi. I baritoni Daniele Caputo (il giudizioso, buon Tarabotto) e Sergio Foresti (l'unico vero buffo, Batone) appaiono una scelta vincente. Si tengono testa l'un l'altro con buona padronanza del lessico rossiniano, e persuasiva caratterizzazione dei personaggi. Apprezzabile del pari il bieco Ormondo del basso Lorenzo Grante.
Lavorare in un gabbia dorata
Non molto si può fare nella struttura stupefacente ma intoccabile dell'Olimpico. Così Giuseppe Corsaro – che insieme a Sara Marcucci ha firmato i costumi di scena - vi ha inserito solo qualche significativo elemento, come la barca corrosa con cui Isabella approdò a quel lido. Ma con due piani inclinati ed una botola aperta - l'antro oscuro della miniera - ha nondimeno conquistato maggiore spazialità visiva. Nella nuova veste di regista, Alberto Triola dipana con accortezza e savie intuizioni la tenue vicenda, scansando il pericolo delle banalità sempre presente in Rossini.
Regia attenta alla gestualità, musicalissima e ritmata, in cui si avverte subito il lungo lavoro con l'intera compagnia partendo da un'idea di base: quella di una terapia psicoanalitica in cui una Isabella/paziente espone gli antefatti ad un Tarabotto/terapeuta, dopo essere stata simbolicamente derubata nella Sinfonia dei propri balocchi. Per dare un tocco in più, Triola punta poi sull'onirico sdoppiamento dei protagonisti con alter ego coreografici (Clelia Fumanelli e Libero Stelluti), con suggestivi effetti visivi. Molto efficace il light-design di Giuliano Almerighi.
Spettacolo: L’inganno felice
Visto al Teatro Olimpico di Vicenza.