L'intensità dell'iter teatrale di Giuseppe Battiston è in continuo crescendo. Non mera recitazione bensì poesia interpretativa da ascoltare con il cuore e con i sensi, che si somma, completandola di accenti originali, alla poetica dell'autore Paul Auster. L'invenzione della solitudine descrive il difficile rapporto di un figlio verso il genitore scomparso. "Un giorno c'è la vita, poi, d'improvviso, capita la morte". Stupore e incredulità.
Allo stile diretto dello scrittore, l'attore friulano risponde con arte scenica minimale, di raffinata misura, giostrata su accenti, inflessioni, sfumature. Battiston, dall'attrattiva forza magnetica, si muove tra i sentimenti ed attraverso la scena con levità inversamente proporzionale alla mole fisica, ricamando un universo emozionale profondo e travagliato, fatto di palpiti e sussurri, gemiti e dubbi. Il lavorio proteso spasmodicamente alla comprensione del padre, mai completamente conosciuto, diviene mezzo per la ricerca interiore. Trovarsi a fare i conti con una mancanza porta all'impulso di ricomporre, assieme a quelli degli avi, i propri frammenti di esistenza, a vedere sé stessi sotto una nuova luce.
Concetti immediatamente decodificati nella drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, forte della scenografia esteticamente funzionale di Guido Fiorato. Un cumulo di cenci gettati sul pavimento; abiti rimasti negli armadi, dopo la morte del proprietario, intenti a chiedersi quando mai saranno nuovamente indossati senza presagire che verranno buttati. Una collezione di cravatte scese come lacrime multicolori dal cielo terreo. Una fila di scarpe legate dalle stringhe, a scandire le tappe di un cammino che non necessita di passi. Uno specchio sghimbescio, fata morgana che proietta caleidoscopiche illusioni e riflette la figura del protagonista di spalle (il figlio si rispecchia nel padre per poi vedersi sotto un'altra angolazione); intercapedine traslucida che infine viene trapassata, velando di inganni ottici il percorso emotivo dell'uomo.
Le note di quell'autentico genio musicale che è Stefano Bollani torniscono l'atmosfera sospesa, pennellano tinte scure mai cupe, intonano sentimenti interagendo alla pari con autore e attore. Battiston riesce là dove, forse, Auster non è riuscito: a sondare l'insondabile, a colmare un vuoto innalzato come scudo protettivo. "E' stato e non sarà più, ma tu ricorda" è l'ultima ammonizione rivolta dal padre al figlio. Anche noi ricorderemo, questa serata.
Caloroso il pubblico ed accogliente il Teatro Comunale di Gonzaga che, nel balcone puntellato da travi prospiciente l'ingresso, reca ancora evidenti le ferite inferte dal terremoto che nel 2012 sconvolse Emilia e bassa Lombardia.