Lirica
L'ITALIANA IN ALGERI

L'inossidabile Italiana di Ponnelle

L'inossidabile Italiana di Ponnelle

La Scala assesta due colpi rossiniani estivi vincenti consecutivi in due anni di fila: prima con Il barbiere di Siviglia, poi con L’italiana in Algeri. Due spettacoli storici di Ponnelle, sia nel senso che sono di quarant’anni fa, sia nel senso che hanno fatto la storia del teatro musicale, al punto da essere ancora attualissimi come i classici, anch’essi dunque classici. E fa benissimo la Scala a riproporli, tirandoli fuori dai magazzini.
Questa Italiana inaugurò la stagione 1973/74 con Claudio Abbado sul podio e una giovanissima Lucia Valentini Terrani nel cast nel ruolo del titolo, che sarebbe diventato uno dei suoi di riferimento. Lo spettacolo venne poi ripreso al Piermarini nel 1975 e nel 1983 (ancora impegnati i due artisti citati), nel 2003 agli Arcimboldi e ora di nuovo al Piermarini come saggio di fine anno degli allievi dell’Accademia del teatro alla Scala. Invero è riduttivo parlare di saggio, essendo spettacolo compiuto e riuscitissimo: da vedere.

La regia di Ponnelle non ha perso forza comunicativa e sfrutta ogni spunto del libretto per divertire con misura ed eleganza, restando aderente al testo ed alla musica, anzi sottolineando le parole in modo così calzante e chiaro che i numerosi stranieri non hanno bisogno di seguire la traduzione per entrare dentro lo spettacolo.
La scena dello stesso Ponnelle è fissa, un interno con aperture trilobate: porte e finestre ai lati e un arcone nel fondo che immette in un altrove che si trasforma a seconda delle esigenze grazie a velatini, tende, modellini di castelli e città tridimensionali o dipinti. Il soffitto è alleggerito da un’apertura modanata in linee tondeggianti. La luce filtra da grate e tende, suggerendo quel gusto per il proibito che il serraglio produceva nell’Ottocento.
I costumi completano la perfetta messa in scena, sfarzosi e curati: a contrasto con l’opulenza e i ricami dei turchi, Isabella e Taddeo vestono di scacchi e sobrie tinte unite, grigio e azzurro prevalenti.
Lorenza Cantini ha ripreso la regia con il merito di avere ricreato un perfetto meccanismo teatrale. A cominciare dalla lunga tela (di Penelope) che Elvira, Zulma e gli eunuchi tessono nell’harem e che amplifica il loro tremore al cospetto di Mustafà. Un cannone spara e affonda una barchetta all’orizzonte: il pubblico non può non applaudire questo semplice e straordinario effetto teatrale. Nei due atti le trovate si susseguono, sempre improntate a misura ed eleganza, comunque di grande divertimento.

L’orchestra dell’Accademia suona così bene che si potrebbe pensare che ci sia l’orchestra del teatro in buca: va riconosciuto ad Antonello Allemandi di aver fatto un lungo e meticoloso lavoro di preparazione. I tempi sono ben scanditi, a volte alternando qualche lentezza al giusto ritmo; il suono è pulito, anche se forse si poteva cercare qualche colore in più, come inserendo le percussioni alla turca. Oboe e violoncello sono parti soliste di rilievo; di lusso l’accompagnamento al fortepiano di James Vaughan.
Il coro dell’Accademia è vocalmente ben preparato da Alfonso Caiani ed attorialmente preciso nel partecipare all’azione, restituendo o accompagnando i gesti dei protagonisti.

I protagonisti dimostrano di essere affiatati e di divertirsi sul palco. Michele Pertusi è un Mustafà di grande esperienza, sicuro nella voce anche nelle colorature e gigione nelle movenze. Una sorpresa l’Elvira della brava Pretty Yende, la voce luminosa è incantevole: un soprano da seguire nei prossimi anni. Isabella è Anita Rachvelishvili, splendida voce scurissima, espressiva, ampia e sonora, poco leggera nelle agilità. Il Lindoro mobilissimo di Enrico Iviglia è debole nel fraseggio e carente in acuto per estensione e squillo. Vincenzo Taormina è un elegante e piacente Taddeo, preciso vocalmente e meno buffo rispetto alle occasioni che il ruolo consente: un gentiluomo impettito e beneducato e, per certi versi, serioso (ma il contrasto rende ancora più comiche le situazioni). Adeguati Filippo Polinelli (Haly) e Valeria Tornatore (Zulma).

Diversi posti vuoti, purtroppo, per uno spettacolo che merita il tutto esaurito ogni sera. Il programma di sala riporta una sintetica ma calzante rassegna di dipinti dell’Ottocento sull’oriente, dopo che la spedizione napoleonica in Egitto aveva suscitato interesse per le turcherie, fino ai veri e propri orientalisti, tra cui l’efficace "Bagno turco" di Morelli di collezione privata romana visto alla mostra di Stupinigi del 1998.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)