Davvero gradevole, in quanto pieno di autentico senso del teatro, l’allestimento de L’Italiana in Algeri che Pierluigi Pizzi firmò ormai quasi vent’anni fa per il Circuito Lirico Lombardo e che negli ultimi tempi ha ripreso vita, dopo essere stato inserito all’interno della stagione 2009 del Teatro Verdi di Trieste, nella programmazione 2012 del Circuito che lo aveva originariamente prodotto e ora anche nel cartellone veronese.
L’ambientazione è, come scontato, mediorientale: i colori dominanti sono quelli caldi, nelle tonalità del giallo e dell’arancione, che si vanno solo un poco stemperando quando sopraggiunge la notte, tersa, con un cielo blu cobalto su cui si staglia un’enorme luna piena; sullo sfondo la sagoma di una moschea con quattro minareti che ricorda da vicino Santa Sofia a Istanbul. La scena è fissa e rappresenta un interno con terrazza, articolato su ampie gradinate che, grazie a dei graticci scorrevoli e ad un mobilio essenziale, introdotto di volta in volta da schiavi, disegna le varie ambientazioni del palazzo che vanno dall’iniziale bagno turco, alla sala del trono, alle stanze private di Isabella. Belli e coloratissimi i costumi: turcheschi per gli Algerini, di foggia novecentesca e fattura occidentale per gli Italiani. Su tutti spicca l’abito lungo da famme fatale di color rosso fuoco con tanto di cappello piumato indossato da Isabella all’atto di presentarsi per la prima volta al cospetto di Mutafà.
Brillante la regia che tiene costantemente desta l’attenzione del pubblico creando, in perfetta sintonia con la partitura, una lunga serie di momenti esilaranti; curati nel dettaglio i movimenti coreografici senza però la volontà di strafare. Da segnalare l’originale “quintetto del caffè” in cui i protagonisti accompagnano il proprio canto con il tintinnio provocato dai cucchiaini girati con forza all’interno delle tazzine.
Il ruolo di un’Isabella scaltra, dominatrice, armata di frustino, che scende dalla barca sicura di sé, abbigliata con larghi pantaloni neri e con un cappello lucido a visiera è affidato a Marina De Liso: il timbro è piacevolmente brunito, l’emissione morbida, le agilità pulite, la presenza scenica disinvolta, grintosa, ma al tempo stesso sensuale. Mirco Palazzi è un aitante Mustafà, agile e scattante, letteralmente folgorato dalle bellezze di Isabella, che esibisce una vocalità calda e vellutata, naturalissima e controllata nell’emissione, senza mai una sbavatura. Un po’ pallido quanto a presenza scenica, ma vocalmente adeguato il Lindoro di Daniele Zanfardino; corretto e solido negli acuti il Taddeo di Filippo Fontana. Buona la prova di tutti i comprimari fra cui si segnala particolarmente l’Haly di Federico Longhi.
Bacchetta sicura per Francesco Lanzillotta che ha saputo imprimere il giusto brio alla partitura senza mai scivolare nell’eccesso, attento al sostegno del canto e alla ricerca di un suono nitido e vaporoso con un ottimo risalto dei fiati. Buona la prova del coro; divertito e prodigo di applausi il pubblico.