Torino, teatro Regio, “L'italiana in Algeri” di Gioachino Rossini
L'ITALIANA CHE VIENE DAL FREDDO
Un rapporto particolare lega Torino all'Italiana in Algeri, che ha inaugurato il teatro della città due volte, nel 1925 (il teatro sarà distrutto dalle bombe nel 1942) e nel 1949; opera che, negli anni, è tornata più volte, da ultimo con una propria produzione (1979, Gregoretti regista) ed ospitando quella di Pizzi di Monte Carlo (1992) e quella di Ponnelle della Scala (2000). Motivi in più per apprezzare l'attuale produzione low cost (giusta in tempi di tagli ai finanziamenti), utilizzando le preziose forze del Regio. La regia è affidata a Vittorio Borrelli, primo direttore di scena del teatro, e la scenografia a Claudia Boasso, responsabile dei laboratori scenotecnici, che ha creato un interno snello e lineare con archi moreschi bicromatici e pareti traforate; una terrazza affacciata su un mare azzurro e poi piscina, fontana, salotto, fumoir, cucina e bagno turco. I costumi turcheschi e colorati sono di Santuzza Calì, le luci, calde, notturne o levantine, sono di Andrea Anfossi. Completano il lavoro “made il Regio” le maestranze: le sarte vestono Mustafà e i tecnici eseguono i cambi a vista, tutti vestiti secondo copione.
Vittorio Borrelli sceglie la strada della tradizione e strizza l'occhio a Ponnelle; crea una serie di quadri che si adattano naturalmente alla storia, aggiornandola con dignità storica. Elvira stira la biancheria del marito mentre lui se la spassa al bagno turco; Lindoro pulisce il palazzo del Bey con tanto di carrello e scopone, stile inserviente di cooperativa; il bagno turco è invero una spa con lettini, massaggi e maschere di bellezza. Alcune trovate sono particolarmente gustose: i figuranti che muovono a vista gli oggetti di scena hanno Crock ai piedi e baffi neri lunghissimi; Mustafà cammina sulle acque della piscina; nel finale Isabella e Lindono partono su un tappeto volante. Molto divertente l'arrivo di Isabella: l'italiana e Taddeo sono in una barchetta e scrutano l'orizzonte coi binocoli in cerca di approdo sicuro; la inseguono due turchi su un'altra barchetta, silenziosi e minacciosi, e li spaventano urlando “Buh!” sul rumore delle onde del mare.
Il maestro Bruno Campanella festeggia con questa produzione le nozze d'argento con il Regio, per cui prima dell'ultima recita (pomeridiana domenicale) è stato premiato sul palco dal sovrintendente Walter Vergnano con una targa. Ha dichiarato Campanella con molta ironia: “Mi aspettavo qualcosa, ma nessuno mi diceva nulla ed ero rimasto un po' male, come un coniuge quando l'altro dimentica un anniversario importante”.
Il Maestro ottiene dall'orchestra di casa suoni leggeri e tersi, trasparenti e nitidissimi, cesellati in una trina di fine merletto; il volume è amalgamato in modo esemplare con le voci. Lascia perplessi la scelta dei tempi: l'inizio è sussurrato e allargato, poi improvvise strette per arie e cabalette si alternano a rallentamenti nei recitativi (a volte spiazzando i cantanti, come nel finale del primo atto nella recita domenicale).
Il primo cast è perfettamente a suo agio in ogni ruolo, i cantanti sono affiatati e le gags funzionano, segno che il regista ha ben curato la recitazione. Lorenzo Regazzo è Mustafà, per metà della recita a torso nudo con asciugamano in vita e ciabatte di spugna da hotel ai piedi, un Bey tracotante e prepotente che si diverte ad esercitare angherie sui sottoposti; la voce è adeguata, con un sontuoso registro basso e l'alto pieno e controllato. Ottimo Antonino Siragusa: il suo Lindoro colpisce per l'estensione della voce pulitissima ed espressiva, la potenza dello squillo, le frasi scolpite e il verso cesellato, ma soprattutto le colorature sicure; “Languir per una bella” è pieno di commovente sentimento, la ripresa ha arabeschi e guizzi; nel second'atto “Oh come il cor di giubilo” è praticamente perfetta. Vivica Genaux è americana dell'Alaska ed entra in scena con una vistosa pelliccia rossa al collo: un'italiana che viene dal freddo; attoriamente eccellente, il soprano ha voce scura ma piccola; evidente la frequentazione del repertorio barocco. Roberto De Candia è un Taddeo divertente e misurato dalla voce morbida e vellutata. Carla Di Censo è una Elvira convincente dalla voce non aspra; bene anche Paola Gardina (Zulma). Con loro l'Haly di Alessandro Luongo, accompagnato da un esilarante servitore, muscoloso e aitante ma “slow”. In un ruolo recitato, Marco Sarasso è lo chef che prepara dal vivo un gustoso piatto di tagliatelle al sugo per l'affamato Pappataci Mustafà, un po' “prova del cuoco” (le tagliatelle sono state preparate da Isabella, che ha le guance infarinate).
Nel secondo cast i cantanti hanno adeguato alle proprie personalità i ruoli. Carlo Lepore è un Mustafà meno gigione e più contenuto, vocalmente ineccepibile. Fatica David Alegret nel ruolo di Lindoro: la voce è aspra e nasale, non abbastanza estesa nelle colorature. Anna Rita Gemmabella è Isabella col cappello stile Rossella ma senza pelliccia (lei non viene dal freddo); la voce è perfetta per il ruolo ed usata con intelligenza; il personaggio è impostato più sul volitivo che sul seducente (su cui invece punta la Genaux) ed affronta “Per lui che adoro” con ironia e grande perizia tecnica. Christian Senn è un Taddeo dalla voce chiara e dal contegno british, troppo distaccato e poco efficace. Bene Elena Borin (Elvira) e Diego Matamoros (Haly).
Il coro, limitato alla sezione maschile, è preparato con esattezza da Claudio Fenoglio. Carlo Caputo è il maestro al cembalo con turbante.
Teatro pieno, pubblico molto divertito e soddisfatto; grandi applausi.
Visto a Torino, teatro Regio, il 14 e il 15 marzo 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)