Lirica
L'ITALIANA IN ALGERI

Trieste, teatro Verdi, “L'ita…

Trieste, teatro Verdi, “L'ita…
Trieste, teatro Verdi, “L'italiana in Algeri” di Giochino Rossini L'ITALIANA COME WANDA OSIRIS Trieste si prepara a festeggiare i quaranta anni del festival internazionale dell'operetta, incentrato su un nuovo allestimento della Vedova allegra (regia Federico Tiezzi e direttore Julian Kovatchev) e intanto chiude la stagione lirica con Rossini, la cui Italiana in Algeri è uno dei titoli più rappresentati negli ultimi mesi (Napoli, Bologna, Torino). Questo allestimento proviene dal teatro Sociale di Como ed è affidato a Pier Luigi Pizzi, che, come sempre, cura regia, scene e costumi. L'ambientazione è nel medioriente che ci si aspetta, compresa la moschea sullo sfondo che rimanda indiscutibilmente a Istanbul, alla moschea Blu coi minareti a matita nello stile di Sinan. Quinte scorrevoli traforate chiudono una terrazza con piccolo padiglione e da cui, appunto, si ha la vista sulla moschea. L'interno, fisso, è colorato da marmi e mosso da gradoni ampi, su cui si svolge tutta la scena. A cominciare da un bagno turco, dove alcune belle si sollazzano nell'acqua ed un eunuco esibisce plasticamente la sua muscolatura con una frusta in mano. Poi Isabella arriva in barca con tanto di bauli. E prende lei la frusta in mano, rivelandosi subito dominatrice più che innamorata. Durante l'aria “Le femmine d'Italia” scorrono diapositive di bellezze italiche discinte ritratte da pittori del barocco. I costumi sono adeguati alla situazione e pongono i fatti nel Novecento, con naturalezza e molto colore mediterraneo nello stile di Pizzi, cioè molte variazioni e gradazioni degli stessi colori dominanti, qui avorio, giallo e arancio chiaro, tutti solari. Si distingue la Isabella coperta di piume e lustrini e svolazzante in sete fruscianti, stile Wanda Osiris. La regia, ripresa da Paolo Panizza (autore delle luci appropriate), si limita a mettere in scena l'opera, senza alcuna particolarità, al punto di arrivare quasi ad annoiarsi nel secondo atto. Soprattutto nelle scene conclusive si ha l'impressione che la vicenda sia “tirata via” in modo frettoloso, poco divertente e poco chiaro. E nessuno dei protagonisti risulta spiritoso. Buono il cast. Su tutti ha svettato (non solo per altezza) l'ottima Isabella di Daniela Barcellona, la cui voce sontuosa, profonda nei gravi, spessa nei centri e svettante negli acuti, non ha avuto incertezze nelle agilità. Il Lindoro di Lawrence Brownlee ha esordito ottimamente e la cavatina “Languir per una bella”, venata di malinconia, ha commosso il pubblico, sfoggiando voce piena e sicura e uno squillo potente; però evidentemente il tenore non ha appoggi appropriati e, nel prosieguo, la voce si assottiglia e perde la luminosità iniziale. Paolo Pecchioli è un Mustafà muscoloso e muscolare è la sua prestazione, giocata su voce scura e su atteggiamenti da gran cattivo. Il Taddeo di Paolo Bordogna è confinato in un ruolo e in un abito da Grillo parlante ma vocalmente non ha problemi. Appropriati Carla Di Censo (Elvira), Elena Traversi (Zulma) e Marco Camastra (Haly). Con loro il coro maschile del teatro diretto da Lorenzo Fratini. Nota negativa la direzione di Dan Ettinger, pesante, coi tempi allargati al punto da mettere in difficoltà più volte i cantanti, con i quali spesso è mancato marcatamente l'appiombo. Il giovane direttore predilige una predominanza “bandistica” di fiati, cancellando il tratto di Rossini, quella trasparenza di trina, quella spuma evanescente, quella leggiadra vaporosità che ne contraddistinguono la musica. A cominciare dalla sinfonia, una delle più brutte mai ascoltate, avendo scambiato un suono greve con i tratti nervosi e taglienti della partitura. Fraseggi, poi, neppure a parlarne. Un tutt'uno tra recitativi e arie, quasi indistinto. Teatro gremito, pubblico plaudente e generosissimo anche con il direttore. Grande affetto per Daniela Barcellona, triestina. Visto a Trieste, teatro Verdi, il 31 maggio 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Verdi di Trieste (TS)