Dopo sei anni dall'Italiana pesarese di Dario Fo, il Comunale di Bologna importa da Napoli l'allestimento che era andato in scena nell'auditorium Rai di Fuorigrotta durante al chiusura del San Carlo per i restauri della sala e degli impianti, uno spettacolo ripensato e riadattato agli spazi felsinei.
Il boccascena è chiuso da un sipario con “La grande odalisca” di Ingres conservata al Louvre, un velatino che scende per consentire i cambi con attrezzi di scena che non modificano l'impostazione del palco ma creano ambienti diversi: l'harem, il porto, l'hamam. Infatti la scena fissa di Nicola Rubertelli è caratterizzata da un emiciclo a gradoni come un teatro antico, decorato da grate trilobate di sapore orientale, a cui rimandano anche i costumi di Francesco Esposito e le luci calde di Andrea Oliva. In alcuni momenti sul fondo sono proiettate immagini di quadri di orientalisti, magari successivi per epoca, certo della stessa temperie culturale.
Il regista Esposito segue il libretto, dà una personale impronta ai rapporti fra Haly e Zulma (qui sono amanti) e al percorso di Mustafà, che viene ridotto a un poppante sul seggiolone. L'aria di Lindoro “Languir per una bella” è ambientata in una stireria con il tenore alle prese col rovente ferro da stiro a carbone passato sui fazzoletti che avevano asciugato le copiose lacrime di Elvira, Zulma ed eunuchi. Alcuni spunti sono divertenti e poetici: le carte da gioco, le bolle di sapone con sbuffi di talco, i fazzoletti che cambiano colore (il significato è chiarito nel programma di sala), Elvira nel cassone in partenza per Livorno, gli eunuchi che si tolgono le scarpe e poggiano i piedi nudi per terra (un gesto tipico degli arabi). Francesco Esposito ha l'intelligenza di non voler strafare ma la ripresa non brilla come l'originale partenopeo e il ritmo talvolta si perde.
Paolo Olmi sceglie una direzione coi tempi allargati, al punto che in alcuni momenti i cantanti paiono in difficoltà nel raccordo con l'orchestra; meglio va nel secondo atto, ma il suono resta avaro di colori, mancando, soprattutto, quel guizzo frizzante che è tra i pregi della partitura. Il continuo è affidato a piano e violoncello.
Marianna Pizzolato è sempre perfettamente a suo agio nel ruolo per vocalità e attorialità; i registri sono impeccabili, come il fraseggio, limpido e morbido, dove non cerca nessuna ilarità grossolana, accostandosi invece all'ironia aristocratica del compositore; le colorature sono nitide, fluenti e misurate: il personaggio è giocato maggiormente nella chiave dell'arguzia piuttosto che in quella della seduzione e, nel riprendere il ruolo (era lei a Napoli nello stesso allestimento, ma anche a Bologna con Dario Fo nel 2007) la Pizzolato accentua l'intraprendenza della viaggiatrice e l'umanità dell'animo di Isabella, sensibile alle istanze di Elvira e Taddeo e i momenti con lei in scena risultano i migliori. Vicino a lei, fisicamente aiutanti e vocalmente adeguate ma meno in rilievo, Anna Maria Sarra (Elvira) e Giuseppina Bridelli (Zulma).
Michele Pertusi è un Mustafà credibile per la lunga frequentazione del ruolo e la giusta vocalità. Yijie Shi è un Lindoro impeccabile, la voce è limpida e squillante, agile e sicura, agganciando gli acuti con facilità; nelle sue arie “Languir per una bella” e “Oh come il cor di giubilo” il tenore trova accenti sentimentali che attenuano i virtuosismi ma aggiungono sfaccettature al ruolo. Paolo Bordogna è un Taddeo di lusso, aitante e dalla morbida voce, che non scade mai nel buffonesco. Sostituto dell'ultimo minuto, Clemente Antonio Daliotti è un bravo Haly per tutta l'opera, compresa l'aria “Le femmine d'Italia”. Il coro, limitato alla sezione maschile, è stato preparato da Lorenzo Fratini.
Pubblico numeroso, moltissimi applausi per tutti sia a scena aperta che nel finale, ovazioni per Marianna Pizzolato.