Fra i classici più riproposti del teatro comico tradizionale partenope di fine '800, torna lo scarfalietto, riproponendoci una trama ben nota, ed intrecci che quasi sempre si reggono sul loro livello più stretto e temporaneo.
Fra i classici più riproposti del teatro comico tradizionale partenope di fine '800, torna lo scarfalietto al Bellini, riproponendoci una trama ben nota, ed intrecci che quasi sempre si reggono sul loro livello più stretto e temporaneo, diciamo pure finalizzati all'immediata boutade o al lazzo ammiccante, che risulta sempre più significativo dello stesso insieme narrativo.
La linea conduttrice è il matrimonio fra Felice Sciosciammocca ed Amalia, terminato quasi subito a causa della serie infinita di litigi fra i due, con l'inserimento del seduttore Gaetano Papocchia che tenta di acquisire i favori della ballerina-sciantosa Emma Carciòff, coinvolto poi come testimone dai due coniugi in cerca di buoni motivi vincenti per affrontarsi infine nell'aula del tribunale, dove infatti termina l'azione.
I personaggi appaiono venendo fuori tutti insieme in uno spazio scenico disegnato con un libro aperto che contiene i tre capitoli della storia, sulla cui copertina c'è il titolo stesso della commedia, fra le più famose di Scarpetta: con lo sviluppo scenografico di Paolo Calafiore si delinea perciò un chiaro segno sull'incontro fra un pubblico come quello napoletano, pronto a sfogliare i suoi classici, e la dimensione del ricordo e della tradizione reinterpretata dalla compagnia guidata da Geppy Gleijeses.
In quel particolare teatro di genere, l'attitudine prevalente era il riadattamento delle pochade francesi coeve, e così 'o scarfalietto proviene direttamente da “La Boulé” di Henri Meihlac e Ludovic Halévy, rinsanguato con una certa dose di appesantimento e di gusto per la battuta fine a sé stessa, anche volgare ma di un volgare medio-borghese, sicuramente diverso da quello appena precedente delle maschere del teatro borbonico, rivolto com'era ad una platea decisamente più rozza.
In questa cornice, però, Lello Arena e Marianella Bargilli non fanno molto per ricordarci la tradizione, rimanendo sempre troppo sopra le righe: Felice Sciosciammoca risulta troppo iroso e collerico, perdendo la traccia del suo originario aspetto ironico ed ingenuo che lo rendeva attraente ed empatico, quello al quale la sensibilità borghese di fine '800 lo aveva adattato in una trasformazione della maschera di Pulcinella, e per il quale era stato disegnato lo stretto, usurato abito a quadretti ed un atteggiamento che complessivamente richiamava finanche Chaplin, mentre la moglie Amalia viene caricata con una figura cupa e talvolta quasi ieratica, nevroticissima, nordica, anch'essa prealentemente iraconda piuttosto che -ebbene sì, va detto proprio così- sprucida, come sarebbe risultata meglio riconoscibile dal pubblico, soprattutto se napoletano.
Rimanere più agganciati ad un classico come questo, ed evitare sia le improbabili letture sociali di un recente passato, sia una reinterpretazione per sottrazione (di elementi essenziali) come questa, forse gioverebbe ad un genere che ha nel suo DNA una presa più che immediata con quella facile battuta e con un richiamo totalmente spensierato alle caratterizzazioni di impatto fulmineo, come è questo Scarpetta annata 1881, e come molti ricordano ancorain costanti riferimenti, non a caso, ad edizioni come quella del centenario, sotto la guida di Mario Scarpetta, anno 1981.
Riusciti, invece, i due personaggi di Geppy Gleijeses che si alterna fra Gaetano Papocchia, gagà quasi di professione e migliore fra le caratterizzazioni, pervaso di farsesca ed onirica leggerezza, e l’avvocato dislessico Anselmo Raganelli, al quale Scarpetta affida il peso dell'arringa finale con cui in tribunale ogni cosa si scompone e si ricompone, mescolando ogni possibile trovata ed ogni livello di immediatezza con un ritmo molto elevato per coinvolgere il pubblico in un caos ludico, sempre sottostando a quegli stessi canoni di arguzia di inconfondibile matrice scarpettiana.