LO SPAZIO DELLA QUIETE

LO SPAZIO DEL SILENZIO

LO SPAZIO DEL SILENZIO

«Lo spazio della quiete è nato da una lunga attesa: stavamo giorni e notti ad aspettare che succedesse qualcosa. Si trattava di una attesa inconsapevole, organica. Avevamo bisogno di quella quiete e potevamo stare lì in silenzio a lungo, a guardare un sasso che galleggiava come un universo o un pezzetto di carta appeso a una canna da pesca, come un piccolo pesce».

Ritorna in scena, ventisei anni dopo il suo debutto “Lo spazio della quiete”, primo lavoro del Teatro Valdoca, con nuovi interpreti ed un nuovo momento finale.
La storica formazione di Cesena, una delle maggiori esponenti della scena teatrale contemporanea italiana, mette in scena una nuova versione del “Lo Spazio della quiete”, che già al suo esordio fu uno spettacolo sorprendente nel panorama teatrale degli anni ’80, caratterizzato dai nuovi gruppi teatrali orientati sui nuovi media e la tecnologia e dal Terzo Teatro; all’epoca questo lavoro appariva come un opera in bilico fra danza, teatro, performance, meditazione, paesaggio d'anima, natura, geometria, arte, preghiera: un lavoro emozionante ed emozionato, che conteneva i caratteri di una lunga e proficua ricerca; si svolgeva in silenzio e aveva una scena povera e minimale.
Da sempre la ricerca della Valdoca è stata volta alla costruzione di linguaggi in equilibrio tra contemporaneità e l’eternità della poesia, linguaggi in divenire come il tempo in cui vivono, linguaggi provvisori, cangianti, ma sempre ricchi e corposi.
Ciò che caratterizza i lavori della Valdoca è «una fisicità muta, balbettante, poi all’improvviso arriva un’impennata che può essere violenta, epica oppure comica, di tradizione linguistica, recente o dialettale e sempre leggermente impertinente rispetto al soggetto che la dice».
La scena è nuda, essenziale, ci sono nove pendoli, fatti con fili appesi al soffitto e nove sassi presi al fiume, alcune corde tese tratteggiate in bianco e rosso, un forcone di legno, un velo trasparente, una resistenza, qualche canna: in questo spazio irreale si muovono, agiscono le due performer in un silenzio quasi assoluto. A differenza del lavoro degli anni ottanta, in questa versione accanto alle due giovani attrici c’è anche una presenza maschile che chiude lo spettacolo. Il silenzio non è totale, ma nella seconda parte viene rotto dai versi scritti per questa versione da Mariangela Gualtieri.
Questa riscrittura scenica non ha assolutamente perso la forza e la carica di protesta che possedeva negli anni ottanta, anni in cui troppe parole, il troppo detto risultava solo essere fastidioso rumore, inutile, privo di senso.
Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri riprendono il loro spettacolo d’esordio e lo riscrivono, aggiungendovi una dimensione creaturale e panica, e un ulteriore livello caratterizzato da una poesia pensante, riflessiva, misteriosa e saggia.
Due figure femminili abitano e vivono una scena in cui fisica e metafisica confluiscono l’una nell’altra. Le due donne misurano, indagano, percorrono con cautela lo spazio in cui si trovano, dilatandolo e alleggerendolo con la loro presenza alleggerisce e dilata. Le due figure femminili, i due corpi conducono una solitaria danza in cui si appropriano della scena, la scoprono e la interrogano.
Questa nuova riscrittura è un ritorno alle radici, è uno sguardo consapevole al passato, alla propria esperienza, ed è un atto necessario, che permette di mettere ordine, di fare il punto.
Le due figure femminili originarie erano mute, quelle di oggi, a ventisei anni da quel silenzio necessario e sacro, parlano, parlano piano, a volte sussurrano.
A questo binomio femminile si aggiunge una terza presenza, un corpo maschile che giace, che sembra essere stato anch’egli immerso per anni in un sonno profondo, in un silenzio solidario e siderale. A questo corpo, a questa entità sconosciuta le due figure femminili pongono domande precise: è vero che la parola non è invenzione umana? è vero che la parola canta e sostiene l’universo? È vero? Il testo è poesia pesante, riflessione intima e universale intorno al tema della parola, del sapere, dell’amore verso questa espressione profondamente umana.
La figura maschile, interpretata da un intenso e magnifico Leonardo Delogu, pronuncia con dolcezza e semplicità “il proprio non sapere, il proprio sapere d’amore e in quello si conficca”.
Al centro di questo lavoro c’è il concetto di attenzione, il cui oggetto è la visione di due donne, vestite a fiori, unite e separate da un elastico teso come uno sguardo. “Forse ‘Lo spazio della quiete’ conteneva già tutto” racconta ancora Ronconi. “Molte persone ci dissero che sembrava un’opera conclusiva, non un esordio. Era la caverna in cui si rinnovano tutte le voci possibili. Essa è rimasta dentro gli spettacoli successivi.”

“Riprendiamo il nostro primo spettacolo, Lo Spazio della Quiete, a 26 anni dal debutto, Quando è nato, Lo Spazio della Quiete era quasi in completo silenzio, con una scena povera ed essenziale. Qualcuno dice che nel silenzio si accumula potenza. Noi, senza saperlo, abbiamo scritto lì il nostro alfabeto. Abbiamo imparato come abitare la scena, come scriverla. Abbiamo fondato il nostro teatro, la nostra lingua. Lo riprendiamo ora con molta emozione, congiungendo fra passato e presente ciò che siamo. Ciò che amiamo.” Mariangela Gualtieri
 

Visto il 29-01-2010
al Teatri di Vita di Bologna (BO)