Giunge al Teatro Nuovo di Napoli, Lo zoo di vetro di Tennessee Williams che Arturo Cirillo porta in scena prodotto dal Tieffe Teatro Menotti di Milano. Una storia che nasce dal ricordo del protagonista, Tom Wingfield (interpretato dallo stesso Cirillo), inquieto ed insoddisfatto figlio di Amanda, infantile e possessiva madre ancorata al ricordo di una giovinezza ormai sfiorita e fratello della fragile sorella Laura, zoppa e spaventata dalla vita, che trova unica consolazione nei suoi animaletti di vetro. Una famiglia piccolo borghese, su cui aleggia il ricordo di un padre scappato per chissà dove e di cui lo stesso Tom, eterno ragazzo rancoroso, irrealizzato ed esule dalla sua stessa vita ogni sera nel cinema e nell’alcol, in fondo ne sarà emule. Solo l’arrivo di Jim, amico di Tom, invitato a cena nella speranza di trovare un marito per Laura, romperà per un istante l’asfittico ménage accendendo le speranze per un futuro diverso. Ma sarà solo un attimo, uno squarcio sul reale nel velo dei ricordi, presto oscurato dalla solitudine. Solo Tom si libererà lasciando le due donne, partendo alla ricerca di un futuro migliore anch’esso pieno di incertezze, solitudine e rimpianto.
Così come nelle stesse parole dell’autore, assistiamo alla potente messa in scena di un “dramma di memoria” ove “il futuro diventa presente, il presente passato e il passato un eterno rimpianto”. Arturo Cirillo, sensibile al tema della memoria e del rimpianto di una vita trascorsa nel ricordo così come dimostrato dalla vicinanza della sua poetica espressiva a quella dell’autore stabiese Annibale Ruccello più volete messo in scena in passato, con sapienza inquadra a perfezione l’opera di Williams. Dona una veste asciutta e realistica, sin dalla scelta scenografia (pochi arredi su di un palco privo di quinte e fondali), ad una narrazione onirica ed intensamente espressiva. Seppur il testo di Williams sia ambientato negli anni ‘40 risulta indubbiamente giusta la trasposizione temporale ad un’epoca che si aggira tra gli anni ’60 e ’70, ricreando, oltre che nel mobili, nei costumi e nella musica diffusa dal giradischi (canzoni di Luigi Tenco, Sergio Endrigo), la malinconia di un periodo storico connotato al contempo da una propensione al cambiamento (i moti operai e studenteschi) e dalle grandi delusioni che nacquero nello scontro tra mondo ideale e reale (le brigate rosse ed il terrorismo nero).
Pochi gli elementi guida che aggiungono valore alla messa in scena: da un lato la sedia che accoglie gli abiti del padre e dall’altro, alcune immagini in bianco e nero dei protagonisti da giovani, che incorniciano il dramma apparendo in alcuni attimi al pari di fuochi fatui. Nella sapiente interpretazione del protagonista, Cirillo dona con misura i giusti accenti all’amorevole attenzione per la fragile sorella, così come negli isterici contrappunti all’inutili apprensioni della madre che sferza con pungente sarcasmo. L’asfittica atmosfera di questo interno è infine resa letteralmente tale dal fumo di sigaretta che Tom nevroticamente disperde nell’ambiente e che, per un attimo, sarà spazzato via da un fresco venticello che entrerà dalla finestra così come la speranza di cambiamento che, con Jim, contemporaneamente entrerà dalla porta.
Senza alterare la struttura dell’opera letteraria, il regista utilizza elementi che palesano la disperata solitudine di questo gruppo di anime fragili, eternamente riverse sul ricordo di una gioventù ricca di potenziale felicità, così emblematicamente vicine alle figurine di vetro di cui Laura fa collezione che il suo stesso abito, indossato per la cena con Jim, riporta rilucenti elementi di cristallo. Infine, evanescente e sensibile, senza mai cadere in un facile naturalismo interpretativo, è l’ottima prova interpretativa che Monica Pisseddu dà nel ruolo di Laura Wingfield.