«Questa farsa, come il più, ha del buono, e qualche inverosimiglianza. Tale è il destino di queste produzioni, nella quali a strozza si promuove, si progredisce, si scioglie un argomento. Il sig. maestro Rossini, ha scritta la sua musica in undici giorni, periodo troppo angusto anche pe' slanci d'un fervido genio. I maturi compositori ciò non azzardarono giammai…» scriveva l'articolista del Giornale Dipartimentale dell'Adriatico giovedì 26 novembre 1812, all'indomani della presentazione de "L'occasione fa il ladro" al Teatro di San Moisè in Venezia, nell'ambito della stagione invernale di una delle più vivaci sale di quella città. Il lavoro, che nondimeno pare piacque al pubblico ma che ebbe poche repliche per la chiusura della stagione - ma molte altre ne avrà girando poi su e giù per l'Italia - era stato preceduto mesi prima, su quelle stesse tavole, da un'altra gradita farsa, "La scala di seta". Ma soprattutto era stato di poco precorso dal debutto alla Scala di Milano de "La pietra di paragone", questo sì un indubbio capolavoro comico, di maggiori dimensioni e di notevole finezza musicale. Il primo successo di portata nazionale conseguito dal giovanissimo compositore pesarese, che da un giorno all'altro si trovava ad essere un vero «maestro di cartello». Il primo frutto di questa promozione sarà un'altra e ben più prestigiosa commissione veneziana, il "Tancredi" per la Fenice.
Molto della trama de "L'occasione fa il ladro", scritta in fretta e furia in una dozzina di giorni al rientro da Milano, deriva da "Le pretendu par hasard" di Eugène Scribe; quantomeno ne si trae l'idea centrale dello scambio di valige, che determina il mutar d'identità di uno dei due proprietari. In questo caso è il fatuo Don Parmenione che, incapricciatosi di un ritratto femminile trovato nel bagaglio del Conte Alberto dopo appunto l'involontaria confusione, con una incredibile faccia tosta gli si sostituisce con l'intento di carpirgli la promessa sposa Berenice. Va a finire invece che, giunto alfine in casa di quella, s'innamora invece dell'amica di lei Ernestina, che finge d'essere Berenice per saggiare le intenzioni ed il carattere dell'aspirante marito; mentre Alberto simmetricamente s'invaghisce proprio di Berenice, pur se questa si presenta celata sotto i panni di una modesta cameriera. Sono proprio queste poco credibili sostituzioni di persona a far lamentare «qualche inverosimiglianza» all'ignoto recensore veneziano; ma tant'è, qui di commedia si tratta, e lo scopo di rallegrare il pubblico fa perdonare questo ed altro. E poi, per carità: quanto a situazioni poco o nulla credibili, a ben guardare nel melodramma serio ne troviamo sperse ben più grandi quantità. Questo nuovo spettacolo offerto al Teatro Malibran di Venezia - teatro erede del mitico San Giovanni Grisostomo, saletta perfetta per dimensioni e capienza - fa seguito alla primaverile presentazione de "L'inganno felice", di cui abbiamo già riferito, e prelude al prossimo "Il signor Bruschino": siamo di fornte cioè al secondo capitolo di un programma (definito l'Atelier della Fenice al Teatro Malibran) che prevede la presentazione delle farse veneziane di Rossini, a due secoli giusti dalla loro primissima apparizione, in nuovi allestimenti affidati visivamente ad allievi dell'Accademia di Belle Arti di Venezia. Per "L'inganno felice" è stato Bepi Morassi, direttore della produzione della Fenice e di questo progetto, a coordinarli e firmarne la regia. Per "L'occasione fa il ladro" Elisabetta Brusa - docente all'Università di Ca' Foscari e conduttrice in quell'ambito di un Cantiere di ricerca e sperimentazione teatrale - è stata chiamata a curarne la regia, e coordinare il lavoro di Alberto Galeazzo (scene), Laura Palumbo (costumi), Andrea Sanson (luci) e Sara Martinelli (costruzioni), coinvolgendo nel percorso ideativo anche moltissimi altri allievi dell'Accademia, tutti citati in locandina.
Il risultato finale è stato quello d'uno spettacolo riuscito e divertente, tutto pensato all'insegna della leggerezza. Uno spettacolo che evidentemente è stato realizzato - cosa che non spiace affatto - a costi abbastanza contenuti. Le due scene fisse - l'albergo dello scambio di valige e la casa di Berenenice in Napoli - parevano un grazioso bozzetto incorniciato nel cartoncino, con tanto di didascalia in alto ripresa dal libretto di Luigi Previdali; la simpatica idea di far manovrare a vista i trucchi nella scena iniziale del temporale, pochi tocchi d'arredo utili per dare senso agli ambienti, qualche accorta video proiezione, e scelta felice nelle luci; ma pure un inutile e fastidioso velatino che personalmente avrei tolto ben volentieri di mezzo.
Per i sei protagonisti, abiti bianchi di stoffa e di carta-tessuto, aggraziati nel disegno, con curiose ma pertinenti acconciature anch'esse apparentemente di carta. La regia agile e naturale della Brusa giocava intelligentemente sul ritmo, sulla freschezza e sull'immediato divertimento, senza mai appesantire né annoiare.
Tra gli interpreti, anch'essi tutti giovani, sono piaciuti soprattutto la Berenice di Irina Dubrovskaya ed il Parmenione di Omar Montanari: la prima ora teneramente sentimentale, ora piccante e viperina; convincente interprete, insomma, però a onor del vero non sempre a piombo nell'intrico della fiorente coloratura risolta talora un po' alla buona, anche nell'aria «Voi la sposa pretendete». Il secondo, bella indole d'attore e buon cantante rossiniano, ha saputo rendere assai bene - soprattutto vocalmente - il tratto ironico e sornione di questo simpatico e sfrontato gaglioffo. Giorgio Misseri mi è parso a disagio nelle scabrosità vocali di «D'ogni più sacro impegno», abbastanza disinvolto nel resto; Paola Gardina era un'amabile Ernestina, Giovanni Romeo uno spigliato Martino, Enrico Iviglia un apprezzabile Eusebio.
L'orchestra del Teatro La Fenice era diretta da Stefano Rabaglia: concertazione senza merito né lode, generalmente precisa e garbata ma pure senza troppa fantasia né giusta varietà di colori, al punto da mortificare questa frizzante «burletta per musica». Rabaglia non è stato esaltante nemmeno nella rapida e coloratissima ouverture, che nell'episodio del temporale riprende un'idea che viene da "La pietra di paragone", e finirà dritta ne "Il barbiere di Siviglia".
Lirica
L'OCCASIONE FA IL LADRO
LO SCAMBIO DI VALIGIE
Visto il
al
Malibran
di Venezia
(VE)