“Lolita”, nuovo lavoro dei Babilonia Teatri, coprodotto dal Napoli Teatro Festival con il sostegno di Operaestate Festival, nonostante le polemiche e gli ostacoli che ne hanno caratterizzato la trasferta bolognese, è andato in scena lo scorso 30 e 31 ottobre all’Arena del Sole, nell’ambito del Gender Bender Festival.
Si è parlato di censura preventiva, di «tutelare la salute fisica e la moralità della minore», l’undicenne Olga Bercini, protagonista dello spettacolo, per poi dire che si è trattato di un equivoco, di un malinteso… è proprio il caso di dire che si è trattato di molto clamore per nulla – nessuna scena scandalosa, nessun pericolo per la salute della protagonista né oltraggio al pudore, solo uno spettacolo, solo una storia fin troppo attuale.
“Lolita” è una riflessione accurata sulla contemporaneità; anche in questo caso i Babilonia continuano la loro indagine sul presente, ispirandosi al celebre romanzo di Nabokov, ma non soffermandosi sull’interpretazione classica della figura di Lolita - quale simbolo di iniziazione alla vita e al mondo, educazione alla bellezza e all’estetica, quanto piuttosto concentrandosi sulla percezione distorta che il mondo contemporaneo ha di questi bambini-adulti, della loro sessualità: una perversione insita nella nostra società, a cui la società non può e non è in grado di rinunciare.
Lolita è una farfalla, Lolita è un sogno, Lolita è un incubo.
«Io non sono Lolita» afferma l’attrice Olga Bercini, all’inizio dello spettacolo, mentre mangia un gelato e si ripara sotto un ombrello leopardato – sentiamo i rumori della pioggia.
Questa semplice e lapidaria affermazione è una dichiarazione d’intenti, stiamo per assistere a un gioco che inizierà quando avrà finito di mangiare il suo gelato.
Come ogni gioco ci sono delle regole da rispettare, in quanto gioco è finzione, non implica un coinvolgimento diretto della persona, infatti per Olga spesso parlano le scritte che scorrono sullo schermo, la voce fuori campo, la voce registrata, lei è un simbolo, è un pretesto per raccontare una storia, una storia di violenza. Olga non è Lolita, ma ci racconta la sua storia. Lei non è quasi più una bambina, ma non è ancora un’adulta: è imperturbabile, quasi distaccata e ci guarda dritto in faccia mentre ci racconta la sua storia; nella sua voce non c’è trasporto emotivo, non trapela alcuna emozione: è forse il naturale prodotto di una società eticamente e moralmente nichilista?!
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia»
Humbert, il professore quarantenne innamorato, o meglio ossessionato da Lolita, siamo noi, la società di cui facciamo parte, che osserva, scruta in maniera morbosa, impone i suoi modelli e le sue regole, senza preoccuparsi delle conseguenze, di chi ha di fronte.
Questa società è contraddittoria, spietata, brutale e non “fa prigionieri”.
In scena Olga/Lolita nella sua camera, che gioca a fare finta di essere grande, si scatena a ballare, accenna qualche mossa di arte marziale, imita Cixi - la sua cantante preferita, cantando in playback la sua canzone e noi lì, che la spiamo dal buco della serratura, la scrutiamo, la osserviamo, curiosi, interessati. Lei si comporta e vive come una ragazzina della sua età, con i suoi sogni, le sue speranze, le sue paure, ma in breve la sua vita viene spezzata: si trasforma in vittima, vittima di un desiderio di possesso che non vediamo, ma che esiste ed è tragicamente reale.
La ragazza si spoglia e indossa un vestito carino, bianco, calza scarpe col tacco, si pettina i capelli, si mette il lucidalabbra e per sembrare più grande si sistema all’altezza del seno due palloncini – un gioco che tutte le bambine hanno fatto almeno una volta, per sembrare più grandi: improvvisamente i palloncini vengono scoppiati e il vestitino bianco si sporca di rosso – i rivoli rossi che tingono il vestito e le mani di Lolita/Olga sono segni evidenti di uno stupro, intanto alle spalle della ragazzina scorrono scritte che raccontano il suo suicidio.
Il suicidio è l’ultimo atto, un’azione estrema, disperata, un’espressione della profonda indignazione che prova la ragazzina nei confronti degli adulti e della violenza da essi perpetrata: è la protesta finale da parte di chi ha ormai perso l’innocenza, ha perso i sogni, il sorriso, la sua vita, il suo futuro e ha conosciuto lo squallido e crudo inferno dei grandi.
La recitazione ridotta ai minimi termini, o meglio vi è una totale assenza di recitazione nel senso tradizionale del termine, è la cifra stilistica dei Babilonia Teatri - ovvero Enrico Castellani e Valeria Rimondi. La scena è volutamente scarna, pochi oggetti, feticci adolescenziali come i lucchetti, il diario segreto, un astuccio, un pc che viene utilizzato dalla giovane protagonista; la scelta musicale, come sempre, è originale e curiosa, canzoni trash-pop si alternano a pezzi hard rock.
La tematica dello spettacolo è dura, cruda, sgradevole, drammaticamente reale e attuale, ma non c’è compiacimento né alcun tentativo di edulcorare la pillola, l’intento dei Babilonia è quello di provocare una reazione, di indurre il pubblico a riflettere sul contrasto tra la normale quotidianità di una ragazzina di oggi, tra facebook, sogni, diari segreti, la cantante del cuore e come questa venga percepita dagli adulti, con che occhi venga guardata: infatti non è tanto quello che fa la ragazzina, le sue sono azioni molto semplici, quasi banali, prive di malizia o ammiccamenti, quanto lo sguardo con cui vengono osservate, il pensiero che si cela dietro a quello sguardo, che scatena la furia selvaggia, un’assurda e inspiegabile ferocia che conduce a un atto di violenza inaudita – uno stupro, a cui segue un drammatico ed inevitabile epilogo: un suicidio.
“Lolita” è uno spettacolo intenso, intelligente ed originale, così come il suo testo, tagliente, ironico e dal ritmo serrato - in pieno stile Babilonia, forse da un punto di vista formale è ancora in fase di divenire, con aspetti tematici che devono essere approfonditi, indagati più a fondo, ma con un enorme potenziale e la capacità di parlare in maniera diretta, senza troppi giri di parole di un argomento difficile, scomodo quale la violenza sui minori.