Mario Martone è andato all'inferno , ha visto i gironi danteschi , ma non aveva la macchina fotografica ed allora ha pensato ai quadri del Caravaggio del periodo napoletano per offrire la documentazione del dolore al pubblico che, immerso ed incantato, ha provato una sorta di " appartenenza dolorosa " come Anna Maria Ortese , che non era napoletana , ha descritto in " La città involontaria " , una rappresentazione di Napoli " vissuta come una scoperta interiore ".
Geniale l'ideazione di Mario Martone che unisce un corpo scenico espresso con mezzi cinematografici e teatrali , dando sostanza e spessore ad una napoletanità irraggiungibile ad ogni tentativo di narrazione.
Le scene , essenziali e coinvolgenti , gli interpreti , ombre dei nostri incubi , stupendi nella loro aspra veridicità , sono riusciti a creare il miracolo : abbiamo sentito il dolore.