La compagnia Kataklò si presenta come Athletic Dance Theatre, teatro danza atletico, dove la danza e i movimenti atletici dovrebbero trovare un senso nella performance teatrale. Una compagnia che sa far parlare di sé, con servizi anche sui tg nazionali e che, per le repliche romane di Love Machines, ha tappezzato gli autobus della Capitale di manifesti pubblicitari.
Lo spettacolo presenta otto danzatori e danzatrici due dei quali, un uomo e una donna, fungono da esploratori di un una terra misteriosa, un paesaggio che affascina come riportato sul programma. I due performer entrano in scena calandosi da un trapezio da circo, più complesso del solito, con una sorta di sella e una doppia barra per permettere ai due atleti di assumere diverse posizioni. L'effetto ottenuto non è dinamico ma alquanto statico: i due performer sono bolsi e poco spigliati d'altronde nel programma di sala vengono descritti come temerari e al contempo impacciati.
I due esplorano sei strutture tridimensionali, mobili e abitabili, che si trovano sul palco. Le strutture, in legno, hanno la forma di prismi triangolari sviluppati in altezza e non in larghezza, alti diversi metri e larghi poco più di uno, con un piano inclinato praticabile lungo il lato dell'ipotenusa del triangolo che disegnano. Sulle superfici laterali della struttura, dei teli elastici, tagliati in delle forme che ricordano quelle delle ali delle macchine volanti progettate da Leonardo Da Vinci, cui lo spettacolo è ispirato, nascondono alla vista il performer che, dall'interno, muove la struttura. Queste strutture, che sembrano muoversi autonomamente sulla scena, vengono assemblate nel corso dello spettacolo in guise diverse: ora costituiscono un unico prisma dal notevole piano inclinato sue quali si muovono i performer, ora una strutture a raggiera partendo dall'interno della quale i performer ne fuoriescono per danzare intorno alla struttura o sopra il piano inclinato.
Ne nascono diverse coreografie, corali o singole, che si sviluppano soprattutto nella ricerca di figure: dalle silhouette quando i corpi danzati si stagliano, non illuminati, contro lo sfondo color rosso, ottenendo un gioco che ricorda quello delle ombre cinesi dell'800, a figure più complesse come l'elegante l'uomo vitruviano (il disegno di Leonardo che vede la figura umana con gli arti raddoppiati posti in due pose diverse sullo stesso busto) ottenuto sovrapponendo due danzatori.
Danzatori e danzatrici sono vestiti essenzialmente con gli stessi costumi, il cui intento è quello di presentare al pubblico dei corpi a-sessuati: calotte di stoffa sulla testa celano le chiome di ognuno (le scioglieranno solo a fine spettacolo quando verranno a prendersi gli applausi) e anche i torsi sono uniformati all'unisex (una fascia abbondate copre la forma dei seni delle donne). Per tutto lo spettacolo danzatori e danzatrici si muovono su musiche originali (tranne qualche rara escursione nella musica classica) tutte accomunate dallo stesso ritmo (non molto veloce). Uomini e donne interagiscono sia nelle costruzioni figurali di cui si è detto, sia in veri e propri momenti drammaturgici caratterizzati da una descrizione stereotipata del maschile e femminile e delle loro interazioni (le donne piangono, hanno una voce garrula e alta, mentre gli uomini, si sa!, hanno voci più basse e sono insensibili al pianto) e dove le prese tra ballerini sono sempre tra coppie rigorosamente lui-lei. I riferimenti a Leonardo oltre che alle citate vele laterali delle strutture e all'uomo vitruviano si perdono nelle intenzioni della coreografa. Se, come si deduce dal programma, si vuole parlare dell'amore e presentare gli esseri umani come macchine che amano (secondo una interpretazione meccanicistica dell'essere umano più vicina all'illuminismo settecentesco che all'umanesimo di Leonardo) l'amore raccontato in questo spettacolo è banalmente sessista facendo un torto a Leonardo la cui curiosità onnivora non conosceva limiti (ne stereotipi) di sorta.
Quello che lascia perplessi di Love machines però è la sua staticità di fondo. I performer infatti non si cimentano né con movimenti che richiedono alte doti atletiche né compongono delle coreografie che possano veramente dirsi tali.
Confusi nei movimenti di gruppo, relegati nella ricerca di immagini statiche nei movimenti individuali (sia l'uomo vitruviano che le silhouette devono la loro efficacia al fatto di NON assere in movimento), i vari quadri dello spettacolo non conoscono profondità o prospettiva e tutti i movimenti avvengono su un unico piano immaginario perpendicolare al palcoscenico sul quale ballerine e ballerini sono relegati senza muoversi mai al di qua o al di là di questa superficie bidimensionale che li imprigiona e li intrappola.
Dopo dieci minuti ci si rende conto che lo spettacolo si muove su questa coordinata piatta e che non se ne discosta mai. Non c'è vera ricerca coreografica, dove i movimenti nascono, si sviluppano e si susseguono in un movimento coerente con un'idea coreutica qualunque essa sia. Non ci sono vere e proprie acrobazie atletiche, né tanto meno teatro. In Love Machines tutto è approssimato, accennato e risolto in dei finali statici sottolineati dal finire della musica o dalla particolare illuminazione che relega i danzatori e le danzatrici al ruolo di automi, di sagome, di effigi di corpi che si muovono in una serie casuale di passi ai quali manca completamente quell'energia che sostiene di solito qualunque coreografia. Energia che i performer dimostrano di avere solo quando, a fine spettacolo, tolte dalla testa le calotte che hanno fino ad allora indossato, tornano ad essere umani coi loro capelli fluenti (e anche i ragazzi hanno lunghe e bellissime chiome) sprizzando gioia attraverso il movimento (tra inchini e prese che non hanno mai fatto prima) mentre durante tutto lo spettacolo sono stati delle semplici pedine da un narratore distratto e privo di fantasia. Il teatro, l'azione drammaturgica che dovrebbe cucire coreografia e acrobazie amplifica invece la mancanza progettuale di entrambe tradendo la natura di questo spettacolo quella di in un grande allestimento da fiera di città, di quelle che giravano a Parigi a fine 800 quando il teatro delle ombre cinesi era annoverato tra altre meraviglie quali il cinema e i raggi Röntgen.
Una meraviglia che oggi risulta stucchevole e priva di una vera urgenza di mostrarsi e di essere cercando di intrattenere il pubblico con delle belle figure.
Una meraviglia che oggi risulta stucchevole e priva di una vera urgenza di mostrarsi e di essere cercando di intrattenere il pubblico con delle belle figure.
Ma la danza è un'altra cosa...
Visto il
29-12-2010
al
Vittoria
di Roma
(RM)