Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Bologna, teatro Comunale, “Lu…

Bologna, teatro Comunale, “Lu…
Bologna, teatro Comunale, “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti LUCIA SBIADITA E GRIGIA, PERSA NEL VUOTO Lucia di Lammermoor è, insieme a L'elisir d'amore, l'opera più popolare di Donizetti, forse il suo capolavoro. L'azione drammatica, giocata su forti contrasti e tensioni lancinanti tra sentimenti e ragion di stato, trova nella musica caratterizzazioni psicologiche di immediata comprensione: accenti lirici, quasi belliniani, si alternano a pagine di vigore ritmico e melodico che anticipano certe raffigurazioni drammatiche verdiane. La vicenda, ambientata nella Scozia rinascimentale (come nel romanzo “La sposa di Lammermoor” di Walter Scott da cui il libretto è tratto), è credibile anche in altre ambientazioni, poiché la vicenda è eterna e si presta ad attualizzazioni. L'annunciata regia di Graham Vick è stata sostituita da un nuovo allestimento con regia di Walter Le Moli, scene e costumi di Santi Centineo. Sul palcoscenico domina il vuoto, amplificato da un cielo cupissimo come sfondo. Tutto è buio. Oppure grigio, inteso come non-colore. Dalla pedana inclinata ogni tanto sbucano grandi cubi in numero variabile, a creare un appiglio nel vuoto. I costumi sono dell'oggi, come se si fosse sempre all'aperto e in autunno, privilegiando impermeabili e cappelli, cappottini e giacche. Tutto in grigio-marrone quasi uniforme. Ma il vero vuoto è la regia: i personaggi non si muovono se non per entrare ed uscire di scena, la gestualità è solo abbozzata, se non piuttosto completamente assente (non si firma neppure il contratto, mentre si dice di farlo). Le masse corali, presenti in più momenti dell'azione, risultano ammucchiate sul palcoscenico, oppure si spostano con casualità. Le Moli è regista di esperienza,perciò non si comprende questo “vuoto” amplificato dalla nudità del palco. Esecuzioni in forma di concerto hanno a volte ancora più forza di quelle in forma scenica (penso al Parsifal di Santa Cecilia del gennaio scorso diretto da Daniele Gatti). E comunque le scene non sono fondamentali per far arrivare al pubblico un'emozione (penso al Flauto Magico del Regio di Parma, regia di Stephen Medcalf). A Bologna nulla di tutto ciò, regia presente sul cartellone ma latitante in scena. I cantanti, lasciati soli, si sono affidati al direttore che non sempre ha raccordato buca e voci (il sestetto della scena del contratto è sgangherato). Allemandi ha privilegiato tinte meno romantiche, più vicine al verismo, con sonorità asciutte e misurate, forse in linea con le scelte registiche e scenotecniche. Nella scena della pazzia è tornato il tradizionale flauto, dopo la glassarmonica della Scala e del Pergolesi di Jesi. Nel cast Jessica Pratt ha sostituito all'ultimo minuto (per tutte le recite) Katarzyna Dondalska: nessun annuncio, solo un cartello bianco affisso nell'atrio, per cui molti si sono lamentati. La Pratt è generosa ed ha una corretta dizione, ha voce potente ed estesa che mantiene sotto controllo, non ricca di colori soprattutto nelle venature drammatiche, corposa nel registro medio. Nel complesso la sua prova è buona perchè tutti i registri sono saldi e la scena della pazzia è affrontata con sicurezza. Ma la sua figuretta sembra quella di Mimì, con quel cappottino corto color cammello. Oppure una profuga dall'est negli anni della guerra fredda. Massimo Cavalletti è un Enrico poco incisivo, anche se cresce nel corso della recita. Scadente l'aspro Edgardo di Giacomo Patti, con momenti, soprattutto nel registro acuto, imbarazzanti e una voce non bella. Attorialmente il personaggio è impostato sul “freddo”, senza abbracci per Lucia, poco credibile e poco emozionante. Deludente l'Arturo di Ivan Magrì per presenza scenica e vocalità. Incolore il Normanno di Francesco Denaro; la Alisa di Elena Borin è caratterizzata da una rigidità stile istitutrice; adeguato il Raimondo “borghese” di Oren Gradus. Teatro gremito, pubblico molto plaudente anche durante la recita, soprattutto nelle arie conosciute. Esclusivamente critiche per l'allestimento, definito da molti nel foyer un “non allestimento”. Visto a Bologna, teatro Comunale, il 29 febbraio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI RECENSIONE PRIMO CAST (a cura di Mirko Bertolini, recita del 26 febbraio 2008) Nel primo cast le voci sono complessivamente discrete; cantanti molto giovani per un’opera vocalmente difficile. Desirée Roncatore, nonostante alcuni cedimenti, ha dato il meglio di sé nel ruolo del titolo, soprattutto nella bellissima e alquanto difficile scena della pazzia, dove ha guadagnato un’ovazione del pubblico. Bella voce, anche se ancora non molto matura per la parte, del giovanissimo baritono Giorgio Caoduro nel ruolo di Enrico, di sicuro una promessa del bel canto. Ottima prova per il tenore genovese Francesco Meli nella parte di Edgardo, giovanissimo pure lui ma già con una notevole esperienza sulle spalle e una voce potente e piena di colori. Nicola Ulivieri è un Raimondo intenso nella voce e fascinoso nella presenza scenica. Per quanto concerne lo spettacolo, si condivide la critica del direttore Rapaccioni. Teatro strapieno, pubblico plaudente ed entusiasta con i cantanti ma molto critico e freddo con regista e scenografo.
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)