Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Equilibrio di passato e presente nella “Lucia” del Filarmonico di Verona

Lucia di Lammermoor
Lucia di Lammermoor © Ennevi

Sarà una forma di pigrizia intellettuale, ammettiamolo pure. Ma quanto ci è piaciuta la Lucia di Lammermoor appena vista al Teatro Filarmonico di Verona, primo titolo della stagione 2020.

Sarà una forma di pigrizia intellettuale, ammettiamolo pure. Ma quanto ci è piaciuta la Lucia di Lammermoor appena vista al Teatro Filarmonico di Verona, primo titolo della stagione 2020: spettacolo decisamente rassicurante, visivamente lineare e scorrevole, e che non rema contro la musica di Donizetti. Cosa che talvolta purtroppo accade. Scenografie e video visibili sullo sfondo - invenzioni di Alfredo Troisi, funzionano egregiamente - oscillano tra suggerimenti d'antichità e moderne creazioni grafiche, con effetti in saggio equilibrio tra passato e presente.

I fastosi e raffinati costumi sono assolutamente classici, mettendo insieme nobili abiti di corte cinquecenteschi e costumi scozzesi con tanto di sporran, kilt, mantelli e sciarpe in tartan. Li ha pensati Renzo Giacchieri, cui dobbiamo anche la fluida e coscienziosa visione registica che si attiene ai fatti e ce li spiega ben bene. Nulla di rivoluzionario, dunque, in questa Lucia, ma una consolidata tradizione teatrale nondimeno reinterpretata con occhi nuovi. Per inciso, il tutto arriva dal Teatro Verdi di Salerno, stagione 2018.

Che pubblico caloroso!

Di rado abbiamo sentito una sala così partecipe e calorosa come in questa recita domenicale, l'ultima della locandina. Diciamo che messi insieme i frequenti applausi a scena aperta e quelli finali, se non si arriva alla mezz'ora di ovazioni poco ci manca. D'altro canto, il pubblico si è trovato davanti una compagnia convinta e soddisfacente, ed un direttore – Andriy Yurkevych – di fine istinto drammatico, che ben coglie gli umori romantici e la ricchezza melodica del lavoro donizettiano.

E che sa assecondare con giudizio il lavoro degli interpreti, ponendo in carniere una concertazione appassionata e carica di colori. Gli rimproveriamo solo – ammesso sia colpa sua – la solita, deplorevole omissione della scena della torre di Wolferag. L'orchestra scaligera suona con prontezza, e si mostra elastica e precisa; il coro preparato da Vito Lombardi adempie con slancio il suo incarico.

Valutiamo le voci

Enkeleda Kamani procede nel solco dei tipici soprani lirici d'agilità, e porta a casa un cospicuo risultato: teneramente umana nella figura, la Lucia che ci porge si fa forte di un timbro nitido e melanconico, dai tratti angelici come angelico è il suo nome, procedendo con ricamata morbidezza e colore luminoso. È vero, non sempre sprizza faville negli scabrosi passi d'agilità, ma nemmeno esce dal seminato, e rimane salda in sella nelle emissioni di slancio. Incombenza di Enea Scala è portare in scena l'ultimo dei Ravenswood, e l'assolve con giovanile impeto ed irruenza dando subito fuoco alle sue polveri, ma non trascura un tocco di savia ricercatezza: l'emissione risulta fluida e sonora, interessante il gioco delle tinte e degli accenti.

Quanto alla resa psicologica, crediamo che il suo Edgardo potrebbe essere ancor più coinvolgente, se vi infondesse un pizzico in più d'abbandono lirico. Alberto Gazale entra a gamba tesa con un Arturo un po' scalmanato, e scombina le carte. Va bene che il personaggio è rude, violento, prevaricatore; ma qui vien cantato alla garibaldina, con eccessiva virulenza, aggressività, e minimo fraseggio. Trascurando poi qua e là sfumature e mezze tinte: anche quando Lord Ashton dovrebbe simulare a fior di labbro una benignità che altro non è che sordida ipocrisia. Poca sacrale nobiltà viene offerta dal Raimondo di Simon Lim, che sciorina svogliatamente “Ah! Cedi, cedi”; Enrico Zara è un Arturo modestissimo; Lorrie Garcia una discreta Alisa, Riccardo Rados un valido Normanno. L'altro cast prevedeva nei ruoli principali Ruth Iniesta e Pietro Adaini.

Visto il 02-02-2020
al Filarmonico di Verona (VR)