Ravenna presenta l’opera di Donizetti nell’allestimento del teatro Pergolesi di Jesi con la regia di Henning Brockhaus, coprodotto con i teatri del Circuito lirico lombardo e i teatri di Fermo, Novara e Ravenna. Si tratta della ricostruzione e dell'adattamento di uno dei più celebri allestimenti operistici realizzato per il grande spazio all'aperto dello Sferisterio di Macerata nel 1993 dallo scenografo Josef Svoboda, profondo innovatore del teatro del ‘900 e grande maestro della luce e delle illusioni sceniche, di cui ricorrono i dieci anni dalla scomparsa. Le scene ideate da Svoboda, di notevole suggestione poetica, sono state fedelmente ricostruite da Benito Leonori, già allievo e collaboratore dell’artista boemo, con la variante, di grande effetto, dell’aggiunta del colore nelle proiezioni, rispetto al bianco e nero originale. Il fascino della monumentale scala grigia e del velo in tessuto psicoplastico (neologismo coniato da Svoboda) che si alza e a seconda delle luci e delle proiezioni, passa dalla trasparenza più impalpabile alla rocciosa e minacciosa solidità, rimane intatto pur a distanza di anni, confermando nell’impianto scenico una delle più felici intuizioni dello scenografo ceco. Svoboda fu pioniere nell’utilizzo delle videoproiezioni, molto tempo prima che la tecnologia digitale facesse il suo ingresso nella realizzazione di spettacoli teatrali e, anche se oggi tali artifizi sono del tutto inflazionati, bisogna riconoscere che l’idea originale del famoso scenografo ha sostanzialmente rivoluzionato il modo di rappresentare anche l’opera lirica. Le proiezioni costituiscono infatti l’elemento saliente dell’invenzione scenica, diffuse come sono sull’intero fondale, una grande pergamena stropicciata che abbraccia l’arco del palcoscenico rivelando, nascondendo e riflettendo personaggi ed azioni. È bellissima, ad esempio, la ripresa di Verranno a te sull’aure, con il velo posto a separare Lucia sola al proscenio ed Edgardo sulla scala, così vicino e al tempo stesso così irraggiungibile, come una nebulosa speranza di felicità. Questa superficie, che si fa alternativamente montagna, nuvole e mare, diviene onirico sudario che avvolge il folle delirio di Lucia.
Rispetto all’edizione originale, il nuovo allestimento dell’opera prevede nuovi costumi (di Patricia Toffolutti), nuove luci e una regia meno realistica e più poetica ed onirica – come sottolinea Brockhaus - per rendere appieno il complesso mondo di Lucia, una donna che ama e vive le sue emozioni con pienezza in un mondo di uomini che vivono in maniera unilaterale, pensando solo alla vendetta e alla brama di potere; Lucia verrà condotta alla follia da giochi di potere e dagli inganni ad esso legati, ed è una figura ancora attuale e contemporanea. L’effetto originario è andato perso in questo riallestimento per la volontà di Brockhaus di eliminare la connotazione storica della vicenda con nuovi costumi e proiezioni: brutti i primi che seguivano nel voler attualizzare in chiave sette-otto-novecentesca (non si capiva bene) la vicenda senza veramente inserirsi nel tessuto tragico della trama e discutibili nonché fin troppo didascaliche le seconde. A questo si aggiungano alcuni incomprensibili scelte di regia (come le due signorine che si dimenano durante la festa, che vorrebbero essere inquietanti come due marionette impazzite e che in realtà sono solo fastidiose): le potenzialità dello spettacolo sono rimaste in parte inespresse.
Brockhaus, pur rimanendo sommariamente fedele alle indicazioni del libretto, inserisce alcune novità molto personali: Lucia e Alisa fanno la loro comparsa disputando una partita volàno mentre, sul principio della scena della follia, il cadavere insanguinato di Arturo (impersonato da un abile attore-mimo) viene fatto rotolare giù per la scalinata, atterrando in proscenio con un sonoro tonfo. Più azzeccata, invece, la controscena in cui una coppia di diaboliche ed inferocite damigelle strattona la povera Lucia, infilandole a forza l’abito da sposa. Molto efficace, poi, la scena delle nozze, quando un Arturo agghindato come un esilarante manichino, pronunciando la frase Ti piaccia i voti accogliere del tenero amor mio, cinge, con impeto quasi sessuale, il baule ricolmo di tesori che sancisce l’accordo matrimoniale.
In definitiva, uno spettacolo non banale, capace di offrire diversi spunti di discussione.
Il giovane direttore Matteo Beltrami lascia percepire un lavoro di buona concertazione e di accurato studio della partitura e ha diretto le pagine donizettiane con sicurezza e sensibilità, distinguendosi grazie al gesto preciso e composto e per l’estrema cura con cui ha saputo dosare lo spessore sonoro in funzione dei giovani componenti del cast, ben coadiuvato in ciò dal bel suono dell’Orchestra I Pomeriggi musicali e dal discreto impasto vocale del Coro del Circuito Lirico Lombardo diretto da Antonio Greco.
Da segnalare, nella pazzia, la cadenza con l’arpa al posto del canonico flauto, molto gradevole e intrigante e abbastanza apprezzata dal pubblico.
La georgiana Teona Dvali nel difficile e impegnativo ruolo del titolo ha dato il meglio di sé; la voce c’è e anche l’ottima preparazione, purtroppo manca della dovuta drammaticità. Serban Vasile è un baritono dalla voce un po’ corta per il ruolo di Enrico; canta con impostazione corretta, dimostra una buona capacità di fraseggiare e opportuno impeto, ma negli acuti l’emissione è forzata e perde gli armonici con volume basso e voce spesso coperta dall’orchestra; scenicamente, però, Vasile ha reso molto bene il livore e le paure del personaggio. Il giovanissimo Alessandro Scotto di Luzio in Edgardo è anch’egli leggero ma elegante e molto musicale, ben omogeneo nel cantabile: certamente manca di intensità nell’accento e la difficile aria finale contiene qualche incertezza, ma se continuerà a frequentare il giusto repertorio non potrà che migliorare; ottima presenza scenica. Il Raimondo di Giovanni Battista Parodi ha cantato nonostante un’indisposizione preannunciata. Matteo Falcier è un Arturo intonato e sonoro. Un po’ spigolosi l’Alisa di Cinzia Chiarini e il Normanno di Alessandro Mundula.
Teatro Alighieri pieno e pubblico soddisfatto con molti applausi.