Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Lucia ancora stregata dalla luna

Lucia ancora stregata dalla luna

Sosteniamo spesso la necessità, e non solo per motivi economici, di riprendere allestimenti fortunati, anche di altri teatri, come in questo caso con la Lucia del Maggio fiorentino: non mostra i segni del tempo il bell'allestimento di Graham Vick, andato in scena la prima volta a Firenze nel 1996. La ripresa, curata da Marina Bianchi, consente di apprezzare ancora la regia e lo spettacolo.

Il sipario è un tartan con il nome della protagonista scritto in corsivo rosso sangue. La scena di Paul Brown (ripresa, come i costumi, da Elena Cicorella) è un contenitore di nuvole, un cielo corrusco pennellato di azzurro e bianco (quei cieli espressione dell'inquietudine dell'anima che Munch ha reso così bene) che fa da sfondo a un campo di erica e rocce. In mezzo due sipari di nuvole nerissime che si incrociano creando suggestivi squarci, prospettive inusuali, anche nella storia. Infatti le grigie pannellature con taglio fotografico restringono, espandono, dividono il campo visivo in sintonia con la musica e il divenire drammatico. I costumi cupi, sempre di Paul Brown, spostano la vicenda in avanti di un paio di secoli e connotano immediatamente i clan rivali: tartan azzurro per gli Asthon e rosso per Ravenswood. Perfette le luci di Nick Chelton, riprese da Gianni Paolo Mirenda.

La scena è dominata da una luna bianca enorme contro il cielo plumbeo: memorabile l'immagine che precede il duetto tra la protagonista e il fratello con lei stagliata di spalle davanti alla luna piena. La vicenda è vista dal di dentro, nell'animo di  Lucia. Nel primo atto in “Regnava nel silenzio” Lucia e Alisa si avvolgono insieme per ripararsi dal fresco con il tartan di Lucia, segno che la “famiglia” è inscindibile dalla vita della fanciulla, la quale poi si avvolge nel tartan dell'amato, segno del “passaggio” alla famiglia di Edgardo. Emblematico l'albero privo di foglie che slancia verso il nulla i rami nudi e scarnificati piegati dal vento, come il destino di Lucia. Un altro albero è nel prosieguo, sempre scarnificato, questo coi rami protesi verso il cielo: il tronco apparirà spezzato nel corso dello spettacolo, come il cuore di Lucia. Come la sua vita.

All'inizio del secondo atto ondate di pioggia battente sferzano la scabra brughiera e creano il climax perfetto all'incontro fra Enrico ed Edgardo, un confronto fra due irriducibili nemici le cui ombre si proiettano contro le livide pareti in un crescendo di inquietudine e ineluttabile tragedia. Nella scena della pazzia l'erica si tinge di rosso sangue (già i petali erano rossi durante la festa, gettati a terra dal coro costretto in anguste finestrelle). Una zoomata apre la scena della pazzia che inquadra Lucia sulla cima di un torrione, l’avvicina abbassandola al livello del palcoscenico dove, sotto gli occhi smarriti degli astanti, in una regressione infantile e feticistica, si stende fino ad avvolgersi nel plaid-tartan di Edgardo, dondolandosi meccanicamente, fino ad accarezzarsi con sensualità la gola con la spada intrisa di sangue estratta dalla roccia. La brughiera, sotto un cielo corrusco e spettrale, accoglierà in una cavità la salma di Lucia, a cui Edgardo, in un ultimo disperato anelito, tenderà strisciando, morente.

Bruno Campanella dirige con la solita mano sicura e tempi abbastanza allargati, forse per calibrare le esigenze dei cantanti; il suono è nitido e pulito, esemplare per precisione negli attacchi e negli apporti solistici, così importanti in questa partitura.
Preciso l'intervento del coro preparato da Claudio Fenoglio, una nobiltà immobile che assiste agli eventi drammatici.

Maria Grazia Schiavo è una Lucia dalla voce bella e piena, giusta per colore, accento e inflessione, che non teme le salite all'acuto e i passaggi di agilità (è da considerare come questa regia di Vick renda il personaggio particolarmente difficile, in quanto le colorature devono rendere il senso del girovagare in un labirinto di una mente obnubilata dal vuoto della ragione, tra momenti di dolcezza senza fine e altri di allucinazioni febbrili). Piero Pretti è un Edgardo sempre teso a perfezionare la linea di canto (anche a scapito dell'espressività), con voce bella e di giusto spessore per il ruolo, la cui interpretazione cresce nel corso della recita, acquisendo sicurezza anche in termini di fraseggio fino all'ottimo “Tu che a Dio spiegasti l'ale”. Simone Del Savio rende Enrico meno prepotente e minaccioso, più umano nell'incombere sulla sorella e così meno efficace nel confronto con ella. Modesti il Raimondo di Alessandro Guerzoni, l'Arturo di Saverio Fiore, il Normanno di Cristiano Oliviero e la Alisa di Federica Giansanti.

Teatro praticamente esaurito, grandissimo successo di pubblico con calorosi e generosi applausi in corso di recita e nel finale per un allestimento che ancora conquista gli spettatori.

Visto il
al Regio di Torino (TO)