Eccoli dunque al vaglio del pubblico trevisano, i quattro vincitori del Concorso Toti Dal Monte 2017. Ed alle prese dell'opera romantica per eccellenza.
Cioè Lucia di Lammermoor, trasposizione in musica d'una fosca tragedia di Walter Scott attraversata da glaciali atmosfere gotiche. Iniziamo dalla protagonista, cioè dal soprano romeno Letitia Vitelaru, che per il suo impegno si è meritata anche il premio speciale assegnato dal pubblico; ma che con ogni evidenza è ancora lungi dal poter consegnare una Lucia vocalmente e scenicamente veramente compiuta, differente cioè dall'esile personaggio qui tratteggiato.
Edgardo è il tenore leccese Giuseppe Tommaso: la bella stoffa vocale c'è, ma tecnica e materiale di base appaiono ancora male organizzati. Troppa la spinta, sforzato il canto, il fraseggio pressoché inesistente.
Ben più solida e matura la performance del salernitano Biagio Pizzutti, Ashton incisivo nell'accento e nel fraseggiare, e reso con buona proprietà stilistica. Apprezzabile in scena ma un po' monocorde nell'emissione il basso molisano Rocco Cavaluzzi, Raimondo. Quanto al comprimariato, erano presenti il Normanno alquanto squinternato di Youdae Won, e l'Alisa da stentata sufficienza di Zhenli Tu; apprezzabile l'irruente l'Arturo di Dangelo Fernandez Diaz Sanchez.
Direzione alterna, fra alti e bassi
Sergio Alapont pecca di coerenza e discorsività, pur non mancando a tratti di esprimere inaspettato vigore e un certo brio. Però in altri momenti si mostra inerte ed inespressiva, e persino povera di colori. Concertazione con troppi alti e bassi, insomma; né la modesta Orchestra di Ferrara gli è sempre di valido puntello. Lodevole ad ogni modo l'aver impiegato - caso non frequente - l'etereo suono della glassharmonica affidata a Igor Skylarov in «Ardon gli incensi»; e costruttiva è la presenza del Coro Benedetto Marcello preparato da Francesco Erle.Una visione troppo tenebrosa di Lucia
Questo spettacolo ha visto la luce Bergamo Musica Festival 2014; e salvo la straniante presenza di una candida Maddalena del Canova, offre allo spettatore un opprimente collage di mura di cemento sbrecciate, alte vetrate infrante, tra macerie e rovine. La scenografia girevole di Angelo Sala/b> vuol difatti suggerire il passaggio di eventi bellici in un'epoca indefinita, apocalittica, oppressa dal gelo; concetto rafforzato dai costumi di Alfredo Corno, che in un mix di epoche diverse vedono ruvidi gallowglass scozzesi accanto ad eleganti gentiluomini inglesi, tutti a maneggiare indifferentemente spade e moderne pistole.
Sin troppo tenebrosa e truce, la regia di Francesco Bellotto viaggia sopra le righe e forza il testo al punto da far di Alisa una cenciosa strega – sono tre in scena, pare il Macbeth - che ruba un anello da un cadavere. Oggetto maledetto, che consegnato a Lucia determina il concatenarsi delle posteriori sciagure.