Foreste cariche di foglie filtranti romantiche lame di luce a dispetto di un suolo candido per la neve, cieli percorsi da nuvole turbinose che scorrono a una velocità quanto meno irrealistica, enormi lune, altissimi castelli fatiscenti privi di porte e finestre a dir poco inabitabili che si stagliano su cieli rosso fuoco percorsi da fulmini, chiese dotate di vetrate goticheggianti, ecco in sintesi le ambientazioni ricreate tramite videoproiezioni in stile naïf per questa Lucia di Lammeromoor che inaugura la nuova stagione del Filarmonico di Verona. In scena pochissimi arredi, sempre perfettamente in linea con il clima genericamente tetro ingenerato dalle proiezioni, cantanti che si muovono ripercorrendo clichés piuttosto usuali, momenti di protratta staticità che non giovano al dipanarsi dell’azione e che la regia di Guglielmo Ferro non riesce a risolvere in modo coerente.
Decisamente più interessante rispetto a quello visivo, l’aspetto musicale. Irina Lungu è una grande Lucia, dotata di notevole potenza drammatica e capacità empatica: i sovracuti squillano nitidi e puliti, la proiezione del suono si rivela magistrale, la scena della pazzia, impostata su un virtuosismo non esasperato, evidenzia un’intonazione perfetta e una solidissima tecnica di esecuzione delle agilità, cui si aggiungono il morbido legato e un timbro ricco di colori e sfumature. Al suo fianco l’effervescente Edgardo di Paolo Pretti ha esibito una voce dall’ottima estensione, solida in acuto e efficacemente supportata da un fraseggio ben cesellato. Marco di Felice è un severo Lord Enrico Ashton, forse un po’ monolitico, ma dotato di un piacevole timbro brunito e del giusto accento: i registri sono tutti saldi e compatti, l’emissione controllata, la voce perfettamente in maschera. Fra i comprimari spicca il solenne Raimondo di Insung Sim che, non da ultimo, evidenzia una dizione italiana pressoché perfetta. Ben calibrati anche i ruoli minori: Alessandro Scotto di Luzio è Arturo, Francesco Pittari Normanno, Elisa Balbo Alisa.
Direzione pulita e lineare per Fabrizio Maria Carminati che ricerca sempre un buon rapporto con il palcoscenico, non indulge ad abbandoni lirici eccessivi, ma punta a conquistare un generale equilibrio di suono e di colori di raro buon gusto. Generalmente buona anche la prova del Coro dell’Arena di Verona.