Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Milano, teatro alla Scala, “L…

Milano, teatro alla Scala, “L…
Milano, teatro alla Scala, “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti MODESTA LUCIA, DOPO UNA GRANDISSIMA KAT’A Una sera ho visto Kát’a Kabanová di Leoš Jánaček. Un capolavoro. Un allestimento memorabile, suonato e cantato a ottimi livelli. La sera dopo ho visto Lucia di Lammermoor. E il confronto è stato umiliante, schiacciante per la povera Lucia. Una Lucia modesta come non ci si aspettava alla Scala. L’allestimento è quello del 1992 firmato Pier’Alli (regia, scene e costumi) ed è così datato che forse anche al primo apparire doveva sembrarlo già, un allestimento che ha i suoi anni e li dimostra tutti. La regia è ferma, tesa a creare più quadri che movimenti e se questo nella Lucia ci sta, con la grande forza della musica, qui però appare stanco, superato. L’apparato scenotecnico rappresenta in modo scontato e visto i ruderi che ci si aspetta di vedere, ma da troppi anni. Anche perché i cantanti hanno lasciato a desiderare. Patrizia Ciofi nel ruolo del titolo ha cantato con enorme difficoltà un ruolo impervio ma che forse un tempo avrebbe affrontato con più naturalezza. Non le manca nessuna nota, ma lo sforzo per controllare la voce e per arrivare a dominare i tre registi, in particolare l’acuto-sovracuto che connota la partitura, le impedisce di curare il sentimento, non riuscendo a trasmettere emozioni né a raggiungere un adeguato spessore drammatico. L’indisposto Ramon Vargas è stato sostituito dal giovane Antonio Gandia, inizialmente scritturato per il ruolo del marito: la voce regge fino alla fine, è sicura, bene impostata, curata in ogni registro, ma è una voce debole, non ancora matura, più che onorevole per un comprimario ma non abbastanza corposa per il ruolo di Edgardo. Roberto Frontali affronta il ruolo di Enrico con inusuale piattezza. Bene invece Giorgio Surian (Raimondo). Con loro, dignitosamente, Ki Hyun Kim (Arturo), Alisa Zinovieva (Alisa) Carlo Bosi (Nomanno). La stessa orchestra scaligera non sembrava la stessa nelle mani di Roberto Abbado, che, lacunoso e distratto nella prima parte, migliora negli atti successivi, acquisendo più padronanza nella conduzione, mostrando un maggiore controllo soprattutto degli archi, calcando sulle tinte cupe e romantiche ma senza nessuna raffinatezza. La novità era la presenza per la prima volta della glassarmonica, sembrerebbe prevista originariamente dal Bergamasco. Lo strumento (bicchieri riempiti di acqua in quantità diverse, i cui orli sfiorati con dita inumidite emettono differenti frequenze) ha un effetto interessante, piacevole nelle prime note, con quelle particolari sfumature, poi durante la scena della pazzia sembra meno incisivo del flauto a cui ci siamo abituati (è bravissimo il Maestro alla glassarmonica, il cui nome non compare nei programmi di sala). Insomma una Lucia mediocre, che sarà ripresa a luglio con un altro cast (Devia, Filianoti, Tézier): se la regia è la stessa, si spera che i cantanti facciano la differenza. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Milano, teatro alla Scala, il 23 marzo 2006
Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)