Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Parma, teatro Regio, “Lucia d…

Parma, teatro Regio, “Lucia d…
Parma, teatro Regio, “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti LUCIA, IL MARE E LE OMBRE In tempi di tagli ai finanziamenti e di austerità bene fanno i teatri a riprendere gli allestimenti del passato se sono splendidi e prodighi di emozioni, come questa Lucia di Denis Krief del Lirico di Cagliari, spettacolo vincitore del premio Abbiati. Krief (autore di regia, scene, costumi e luci) agisce per sottrazioni, secondo la sua consueta cifra stilistica: elimina orpelli e decorazioni, enuclea i temi che ritiene fondanti e li presenta in una scena essenziale, asciugata ma fortemente evocativa che funge da amplificatore dei sentimenti che vengono messi sotto la lente di ingrandimento. E questo è uno dei suoi risultati più alti: lo spettacolo è pieno di rimandi e di riferimenti ed è di una tale bellezza, nelle vibranti variazioni di luce e di gestualità, che è difficile da raccontare. L'alzarsi del sipario rivela uno spazio bianco chiuso, claustrofobico, opprimente come la società che viene descritta, uno spazio dominato da due altissime pareti che formano un angolo; un taglio orizzontale corre per tutta la lunghezza delle pareti; il pavimento è in discesa. Una bandiera scozzese identifica all'inizio il luogo, i sobri e severi costumi (curati nei dettagli) situano il momento alla fine dell'Ottocento, senza esasperare la connotazione spazio-temporale. Veloci e funzionali cambi di scena consentono la ricostruzione dei vari ambienti: lo studio di Enrico delimitato da una parete di ferro rugginoso, tre tavoli da biliardo per il salone delle feste degli Asthon, una panchina in proscenio su una landa pietrosa per gli esterni. Un velo nero chiude talvolta il palcoscenico, sfumando la scena. Nel programma di sala, in un colloquio con Alessandro Taverna, Denis Krief dice: “Lucia di Lammermoor racconta la passione fra un uomo in perenne fuga ed una donna che sente l'irresistibile richiamo verso quest'ombra”. E uno dei momenti più alti dello spettacolo è l'incontro di Lucia con Edgardo: lei è di qua del velatino nero, come una mosca intrappolata nella tela di un ragno, mentre sullo sfondo lui è in penombra, davanti a un mare che occupa tutta una parete, un mare ondoso pervaso da luce lunare. Lucia e Edgardo non sono ragazzini, sono “aged” e questo rende la vicenda ancora più drammatica. Edgardo è un marinaio, in partenza; Lucia si inginocchia sopra la sacca di lui per impedigli di partire, ma non si può ostacolare un destino ostinato: Lucia ha il presentimento della tragedia, alla partenza dell'amato si mette la mani davanti alla faccia e all'improvviso il mare scompare, in un attimo lo sfondo è tutto nero. La firma del contratto avviene nella sala da gioco, sopra i tavoli da biliardo, aumentando il contrasto con la solennità del momento e rendendo più beffarda la vicenda. Nell'incontro tra Lucia e Raimondo (il quale le consiglia di piegarsi al destino) la parete di ferro che delimitava lo studio di Enrico incombe dall'alto come una lama di ghigliottina, la luce frontale bianca allunga sinistramente le ombre sui fondali. Le ombre tornano nel terzo atto, si allungano ingigantite sulle pareti e rendono le presenze fisiche piccolissime, infinitesimali rispetto al dolore per l'abbandono. Lucia è donna sensibile che vive di sogni, che qui si tramutano irreversibilmente in incubi. Nella scena della pazzia Lucia è al di qua del velo nero, senza “filtri” davanti al pubblico, mentre la folla si accalca dietro il velo, al buio. Il finale è in un cimitero di croci bianche e nuvole che lentamente scorrono, affrontate a una parete viola luttuoso: “tombe come immagini del passato e del potere che esercitano su di noi gli antenati”, dice il regista. Dolcissimo e pieno di amore il gesto finale di Edgardo, che appoggia la sciarpa di Lucia sopra il suo cappotto. Poi si uccide. Le luci, in uno scatto, registrano il passaggio. Stefano Ranzani è generico nella direzione ma ha il pregio di assecondare perfettamente i cantanti; lo strumentale risulta pesante e rumoroso all'inizio, poi trova una sua linea ed il risultato è convincente. Ottimo il coro, preparato da Martino Faggiani. Désirée Rancatore rivela notevoli capacità attoriali; la voce non è grande ma di un bel colore ricco di espressività nelle venature drammatiche ed è usata in maniera sicura nelle agilità, in cui però rivela poca partecipazione, al contrario del resto della recita in cui trasmette la ricca gamma di sentimenti che il regista ha colto nel ruolo. La sua Lucia sogna per difendersi dalla “chiusura” della società, con la quale si scontra, rifugiandosi nella pazzia come atto di estrema vocazione alla libertà. Stefano Secco, chiamato a sostituire l'indisposto Roberto Aronica, conferma la recente performance al Comunale di Firenze. La voce è gradevole, seppure leggera, e si sposa alla perfezione con quella della Rancatore. Il tenore padroneggia il ruolo con intelligenza, evita forzature ed ottiene un Edgardo naturale e credibilissimo, dall'ottima capacità di fraseggio e l'uso espressivo dei pianissimi. Il sue Edgardo è un marinaio che parte per tornare, un uomo in perenne fuga dalla società ma capace di profondi ed immutabili sentimenti. Gabriele Viviani è un Enrico dal piglio militaresco come la divisa che indossa, convincente per la calda voce baritonale e l'emissione sicura. Carlo Cigni è un seducente Raimondo (vestito da prete in lunga tonaca nera), vocalmente adeguato, che cresce per intensità nel corso della rappresentazione. Corretti Francesco Marsiglia (Arturo), Grazia Gira (Alisa) e Angelo Villari (Normanno). Teatro tutto esaurito, pubblico soddisfatto, tanti applausi, soprattutto per i due protagonisti: ovazione alla Rancatore dopo la scena della pazzia, al punto che la cantante si è commossa. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Parma, teatro Regio, il 21 febbraio 2009
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al Regio di Parma (PR)