Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Ritratto di famiglia in un interno

Ritratto di famiglia in un interno


La Scala ripropone a un anno di distanza, all'interno del cartellone straordinario in occasione di Expo 2015, la celebre Lucia del Metropolitan di New York con la regia di Mary Zimmerman con cui si sono cimentate Natalie Dessay e Anna Netrebko: uno spettacolo curato, molto bello a vedersi nello sfarzo di scene e costumi hollywoodiani e con qualche soluzione su cui fermare l'attenzione.

L'ambientazione scelta è l'Ottocento invece del Cinquecento, fatto che non aggiunge nulla al libretto ma che neppure crea incongruenze evidenti. Le scene di Daniel Ostling sono sontuose e realistiche. L'inizio è in una radura all'ingresso di un maniero, in fondo si intravede un bosco e il cielo che trascolora. L'alzarsi di una quinta con un taglio a simboleggiare un portale svela un esterno tra rocce e arbusti, mentre una fonte sul lato destro ambienta il racconto della protagonista. Per il secondo atto un interno profondo e angolato di sbieco, i colori e il décor rimandano quasi a situazioni pietroburghesi; lenzuola sui mobili pongono l'attenzione sulla scrivania di Enrico ma, tolte le coperture, ecco l'arredo di un sontuoso salone per la firma del contratto di matrimonio: il sole inonda lo spazio da due grandi finestroni sulla sinistra liberati dalle tende stracciate testimonianza della rovina della famiglia per il rovescio della politica. Il terzo atto privilegia il vuoto: una passerella a notevole altezza è raccordata al palcoscenico da una scala semielicoidale che poi scivolerà via davanti a una luna enorme. A caratterizzare gli esterni un fondale con alberi spogli e un cielo di colori irripetibili filtrati da nuvole orizzontali allungate; ogni atto è introdotto da velatini con rami spogli e nodosi sempre più numerosi. Una lunga nevicata nel primo atto (scena seconda) è accompagnata dal suono dell'arpa, un momento rarefatto e perfetto; entrando in scena, Lucia gioca coi fiocchi di neve che, lentamente, scendono dal cielo.
I costumi di Mara Blumenfeld ricreano l'elevato ceto sociale dei protagonisti utilizzando stoffe e finimenti preziosi e colori omogenei da cui si staccano il rosso scuro o il bianco della protagonista; poco congrua l'ambientazione (pur bellissima) invernale con l'essere Edgardo praticamente sempre in maniche di camicia. Come nelle scene, anche nei costumi i dettagli sono curatissimi. Fondamentali nell'economia dello spettacolo le perfette luci di T.J. Gerckens, soprattutto nel fondale che trascolora dalle albe ai tramonti come a svelare l'anima sofferente dei protagonisti. Utili le coreografie di Daniel Pelzig, riprese da Massimiliano Volpini, a rendere in modo plastico e morbido i movimenti delle masse impegnate e un ballo d'insieme nel terz'atto.

La regia di Mary Zimmerman, ripresa da Patrizia Frini, è tradizionale e ha il pregio di conquistare l'attenzione del pubblico spiegando chiaramente il libretto, compreso il fantasma evocato da Lucia durante il racconto ad Alisa “Regnava nel silenzio”. Quando se ne discosta, il risultato è invece discutibile: la foto durante il sestetto distrae inutilmente per il continuo intervento del fotografo nel posizionare i protagonisti (ma dà un'impronta a tutto l'atto al punto da poter titolare la recensione come abbiamo fatto), l'iniezione che un dottore fa sulla spalla di Lucia durante la pazzia è fuori luogo, il fantasma di Lucia che guida il pugnale di Edgardo nel finale è banale seppure intende ricollegare la pazzia della protagonista alla donna di cui si narra all'inizio. Elementi comunque che nulla tolgono al fascino di uno spettacolo di grande pregio teatrale nel segno della tradizione. Il sottolineare la presenza dei fantasmi, affidati alle luci come nelle lingue ectoplasmatiche dell'inizio, non spinge sul pedale dell'horror ma serve a meglio connotare la vicenda, come si legge nelle note di regia presenti nel programma di sala. Citiamo un'immagine è così calzante da diventare iconica: durante la scena della pazzia due cameriere sono affacciate al ballatoio e guardano dall'alto, una in piedi e l'altra inginocchiata tra le colonnine del corrimano.

Stefano Ranzani ha diretto Lucia alla Scala nel 1992 e nel 1997, maturando notevole esperienza che si riflette nei tempi dilatati a favorire il canto e nei suoni bilanciati, una prestazione corretta seppure non connotata da una caratterizzante impronta. Suggestiva la presenza della glassarmonica nel terzo atto che fornisce tinte spettrali alla partitura.

Elena Mosuc è una delle interpreti di riferimento del ruolo del titolo e la prestazione a cui abbiamo assistito è stata entusiasmante: la voce è di colore bellissimo, pulita, trasparente e luminosa, non mostra fatica nelle colorature e la pronuncia è curatissima; dal punto di vista interpretativo se ne apprezza la correttezza: come Tosca, Lucia prende il pugnale dalla scrivania del fratello già meditando evidentemente il delitto; al termine della scena della pazzia la cantante ha avuto una lunga e meritata ovazione dal pubblico. Vittorio Grigolo è esuberante e vivace, quasi troppo, col rischio di scivolare nell'impeto verista, ma la voce è davvero bella e bene usata, il timbro morbidissimo e pieno di luce, il registro centrale corposo e screziato di bruniture, sicure le salite all'acuto a fronte di meno sonore incursioni nel grave, intelligente l'uso delle mezzevoci per meglio caratterizzare il suo Edgardo non come banalissimo macho e il pubblico lo apprezza moltissimo. Gabriele Viviani è un solido interprete di Enrico. Qualche incertezza per Juan José de Leòn, che ha voce piccola e aspra. Alexander Tsymbalyuk è un Raimondo tonante ma poco in evidenza per l'interpretazione con poche sfumature. A completare il cast il Normanno di Edoardo Milletti e la Alisa di Chiara Isotton, entrambi solisti dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del teatro alla Scala. Coro ottimamente preparato da Bruno Casoni.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)