Tetre oscurità per la Scozia della “Lucia di Lammermoor”

Lucia di Lammermoor
Lucia di Lammermoor

Entra in scena il fido Normanno, e sbaglia l'attacco. Non è che cominci proprio bene questa ”Lucia di Lamermmor” che il Teatro Verdi di Trieste propone nella Settimana Santa. Ma i guai non finiscono qui. L'armigero continuerà a vociferare alquanto nel proseguo, e pazienza; però presto s'avvia pure una strana gara generale ad alzare i toni. Non nei momenti solistici, per fortuna; ma nei concertati ognuno sgomita non poco per superare gli altri.

Travaso da un cast all'altro

Aleksandra Kubas-Kruk è stata sostituita in questa replica da Olga Dyadiv, proveniente dal secondo cast. E qui serve aprire un breve discorso. Fondamentalmente, esistono due tipi di Lucia. La Lucia/usignolo, prerogativa dei soprano lirico-leggeri: profili dai tratti adolescenziali, inclini al compiaciuto virtuosismo, e con risultati un po' asettici. Il ciclone Callas impose una Lucia più matura, fosca e drammatica: quella che oggi sembra prevalere, sebbene non sempre felicemente emulata. Perché, in fondo, la sua Lucia rimane un unicum difficilmente eguagliabile (ma volendo, in verità potrebbe esserci anche una via di mezzo, come la Ciofi e la Rancatore dimostrano).

Olga Dydiv s'inserisce giusto nella prima categoria: voce di squisita limpidezza, emissione impeccabile e colorature esemplari; ricerca cosciente d'una figura ingenua ed acerba. Alla fine però risulta calcolata e un po' fredda nell'insieme, con un virtuosismo ammirevole ma che gira a vuoto.
Tolto qualche eccesso di temperamento – colpa d'un personaggio impulsivo - Piero Pretti si impone appieno con il suo Edgardo: fluido ed elegante il fraseggio, nessun problema di fiati, linea di canto inappuntabile. Vince e convince negli slanci eroici come pure nelle pieghe meditative.

Qualche sfoguccio vocale se lo concede, a ben vedere, anche Devid Cecconi nell'impostare scenicamente una fattezza prevaricatrice e brutale; ma nondimeno il suo Enrico, attraversato da un canto incisivo e febbrile, risulta innegabilmente concentrato e drammatico. Qualche incertezza e una certa monotonia emerge nel Raimondo di Carlo Malinverno; scialbo l'Arturo di Giuseppe Tommaso; Andrea Schifaudo è Normanno, Giovanna Lanza è Alisa.


Strana dicotomia tra buca e palcoscenico

Dal golfo mistico presiede Fabrizio Maria Carminati – verace interprete donizettiano - elaborando una base musicale di eccellenza, che avrebbe meritato interpreti in qualche momento più misurati. Una base puntuale, studiata e raffinata, e morbida al punto giusto, con l'Orchestra del Verdi invogliata al canto e spinta ad un lavoro di cesello: motivo per cui non si comprende come mai non abbia imposto maggior disciplina nei concertati. Positiva la prova del coro tergesteo, preparato da Francesca Tosi.

Ripresa di un precedente allestimento

La regia è di Giulio Ciabatti, la scenografia di Pier Paolo Bisleri: allestimento risalente al 1999, e già ripreso al Verdi nel 2011. La drammaturgia sposta la vicenda al primo '800, ma non mette in campo soluzioni trascinanti; in più, oscilla tra situazioni di staticità ed altre di frenesia generale.
In un semibuio perenne, un assito di vitrea roccia rende perigliosi i movimenti; la fontana del I° atto sembra un acquario senza pesci; ed anche se intorno si ergono talvolta alte pareti, l'impressione è di stare perpetuamente all'aperto fra lande tetre e desolate. Che noia!

Spettacolo: Lucia di Lammermoor
Visto al Teatro Verdi di Trieste.