«Lucia di Lammermoor andò, e permetti pure che amichevolmente mi vergogni e ti dica la verità. Ha piaciuto, e piaciuto assai, se deggio credere agli applausi e a’ complimenti ricevuti». Così Gaetano Donizetti annunciava a Ricordi il successo della sua nuova opera su libretto di Salvatore Cammarano, andata in scena per la prima volta al San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835. Lucia, dunque, è di casa sulle tavole del massimo teatro partenopeo, dove è stata rappresentata assai spesso (l’ultima volta undici anni fa).
L’attuale allestimento può contare su un cast vocale di alto livello, composto da interpreti giovani ma già affermati, che sono stati giustamente gratificati dal calorosissimo applauso del pubblico. Specialista nel ruolo della protagonista è Jessica Pratt, dotata di una voce agile e precisa e capace di sfoggiare una grande varietà di emissioni, dal sussurro impalpabile alla generosa pienezza. La follia di Lucia è uno stato di alienazione non facile da rendere; la cantante australiana ha scelto saggiamente di non esasperare i toni vocali e drammatici, ed è riuscita pertanto a tratteggiare con gusto le diverse sfumature di sensibilità e di sofferenza che rendono tanto complesso e affascinante il personaggio. Notevolissimo l’Edgardo di Gianluca Terranova, tenore di tempra vigorosa, a volte anche troppo impetuoso ma sempre nitido e perfettamente intonato. Buono l’Enrico di Claudio Sgura, dotato di un timbro caldo e pieno ma forse non ancora del tutto convincente nel gesto e nel movimento. Dario Russo (che ha sostituito l’indisposto Giacomo Prestia) ha conferito il giusto spessore al ruolo di Raimondo. Angelo Casertano, Miriam Artico e Gino Nitta hanno interpretato con efficacia, rispettivamente, Normanno, Alisa e Arturo. Sul podio Nello Santi, che ha guidato orchestra e cantanti con mano esperta e puntuale, nonostante qualche sbavatura negli attacchi, specialmente nell’ultimo atto.
Grande attesa intorno al nome del regista Gianni Amelio, qui alla sua terza prova operistica dopo Tabarro e Pagliacci. La sua lettura del capolavoro donizettiano è estremamente rispettosa e discreta, lontana da qualunque tentazione di attualizzazione, stravolgimento o iperinterpretazione. Amelio si accontenta di introdurre parche sottolineature e lievi scarti rispetto alla tradizione, senza mai allontanarsi dal senso del libretto e della partitura. La sua Lucia è una vittima innocente, sopraffatta dal ricatto e dall’inganno, chiusa in trappola sin dall’inizio e inesorabilmente. A delineare l’atmosfera cupa e opprimente che la circonda contribuiscono le scene gotiche di Nicola Rubertelli, che sfruttano a pieno la profondità della scena sancarliana a parziale discapito dei punti di vista laterali, e i ricchi costumi di Maurizio Millenotti, di foggia coerente con l’epoca nella quale Cammarano ambienta l’azione (com’è noto, tralasciando il primo Settecento immaginato da Walter Scott in The bride of Lammermoor, il libretto partenopeo - forse sulla scorta di un precedente adattamento italiano - colloca la vicenda «al declinare del secolo XVI»). Insolitamente lunghi (e rumorosi) alcuni cambi di scena a sipario abbassato.
Nell’insieme lo spettacolo, con il suo taglio tradizionale, risulta assai godibile, e gli spettatori lo hanno apprezzato senza riserve.
Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR
Una buona Lucia nel solco della tradizione
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)