Lucia di Lammermoor al Carlo Felice di Genova: nel secondo atto potete ascoltare un duetto di purezze differenti che da solo vale il prezzo del biglietto. Da una parte c’è la voce cristallina del soprano, capace di raggiungere toni elevatissimi: tanto elevati e sottili da sembrare in alcuni tratti quasi filiformi.
Dall’altra parte c’è la voce dei cristalli veri, proveniente da una Glassarmonica che per il teatro genovese è un’autentica rarità: tanto che Philipp Marguerre, il musicista incaricato di suonarla, è inserito nell’organico dell’orchestra, ma ogni volta viene chiamato apposta dall’estero.
La Prima si salva in extremis
Il capolavoro di Gaetano Donizetti la sera della Prima è andato in scena per il rotto della cuffia. Lo sciopero dei lavoratori delle Fondazioni Liriche, preparato dalle sigle di settore di Cgil-Cisl e Uil, è rientrato infatti solo il giorno prima del debutto grazie all’accordo raggiunto in extremis per il rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro.
A quel punto è rimasta l’agitazione del sindacato autonomo Snater, che ha protestato per motivi locali e nazionali: per questo motivo lo spettacolo è andato in scena, ma con il coro ridotto ai minimi termini. Gli stessi coristi scioperanti hanno distribuito volantini all’ingresso prima dello spettacolo.
La sorpresa è Nina Minasyan, soprano armeno
La vera stella della serata è la giovane e semisconosciuta in Italia Nina Minasyan, soprano armeno, nei panni di Lucia di Lammermoor.
Il modello di riferimento di questa parte a livello mondiale era Maria Callas: ma a parte il mostro sacro inarrivabile, Nina Minasyan non ha fatto rimpiangere gli altri soprani che si sono cimentati nel ruolo. Non tutti i soprani riescono infatti ad interpretare efficacemente la parte di Lucia, proprio per le asperità del ruolo e le acrobazie richieste alla voce: ma la cantante armena se l’è cavata alla grande. Merito al direttore artistico Pierangelo Conte, che è andato a scovarla in Asia e l’ha portata per la prima volta a Genova.
Nel dettaglio, Minasyan ha stupito per la vocalità piena di acuti svettanti, freschissima, dalle acrobazie imprevedibili. Se c’è un difetto, va ricercato nel Do Centrale: a tratti di poco spessore. Ma viene tutto fatto dimenticare da sovracuti perfetti e impervi, quasi argentei, con i virtuosismi e l’agilità vocale che servono per tratteggiare bene questo complesso personaggio.
Un cervo per una tragedia in salsa horror
La cantante armena se la cava bene anche come attrice: è credibile quando impersona la giovane protagonista, fragile e pura, schiacciata dalla ragione di Stato che la vuole sposata per motivi politici a un uomo che non ama. E resta credibile quando si trasforma nella donna disperata che, per proteggere la sua virtù e il suo amore per Edgardo, prima uccide il neo-marito sul letto di nozze e poi perde il senno fino a morirne.
Come in un film horror, Lucia si presenta in scena coperta di sangue: le braccia, le mani, la camicia da notte. Trascina il cadavere del marito Arturo nella sala dove è in corso la festa di nozze, lasciando gli astanti orripilati. D’altronde che l’allestimento del regista Lorenzo Mariani, con scene di Maurizio Balò, fosse tendenzialmente virato all’horror si era visto da subito: quando lord Enrico Ashton torna dalla caccia e decapita in scena un enorme cervo, mostrando la testa al pubblico.
La glassarmonica negata a Donizetti, ora c'è
Il clou viene toccato quando Lucia, in preda ad un delirio febbricitante e allucinato che prelude alla sua morte, non canta accompagnata da uno strumento: fa proprio un duetto con la glassarmonica, che fa da eco ai suoi lamenti e li restituisce arricchiti e amplificati. Di solito in Lucia di Lammermoor questa parte viene svolta da un flauto. Questo l’allestimento del Carlo Felice, in coproduzione con il Comunale di Bologna e l’Abao-Olbe di Bilbao, invece è riuscito a rendere giustizia alla volontà di Gaetano Donizetti.
Il compositore aveva previsto la glassarmonica, ma non la aveva ottenuta al debutto di Lucia di Lammermoor nel 1835. Il cristallo porta sul palcoscenico l’armonia celeste e al contempo crea un effetto da colonna sonora di film horror (ancora) che da una parte coinvolge lo spettatore, dall’altra parte lo estrania. Il suono e la voce ricostruiscono la mente di Lucia e la trasformano nello spirito che da lì a breve diverrà a tutti gli effetti. I pochi coristi presenti a causa dello sciopero riescono comunque a supportare efficacemente il pathos.
Scozia, pioggia, grigio, lampi di sole e inferriate
Le scene di Maurizio Balò sono evocative della Scozia. Fuori dai finestroni si vedono piogge perenni (in accordo con la temperie emotiva della narrazione), lampi di sole fugaci ed effimeri, toni del grigio a profusione.
Compare spesso il tema del quadrato, che assomiglia anche alle sbarre di un carcere: allusione neanche tanto velata alle dinamiche che imprigionano i personaggi. Tutti all’altezza della situazione gli altri cantanti.
Edgardo/Ivan Ayon Rivas se la cava meglio sugli acuti, anche per stare dietro alle vette della sua amata. Franco Vassallo, baritono, dà vita a un sufficientemente odioso Lord Enrico Ashton, sempre padrone della parte in tutte le sue estensioni: ma poco convincente dal punto di vista attoriale nella scena in cui dovrebbe essere disperato per la sorte dell’infelice sorella, vittima delle sue macchinazioni politiche.
Probabilmente è una scelta della regia di Lorenzo Mariani, che lo ha voluto più cattivo monodimensionale e stereotipato rispetto alle intenzioni della stessa coppia Gaetano Donizetti/Salvatore Cammarano, che hanno tratto questo dramma tragico dal romanzo The bride of Lammermoor di Walter Scott.